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mercoledì 29 gennaio 2014

Il Gabbiano

La differenza tra la letteratura "vera" e le letture di consumo, sta in quello che una lettura ti lascia.
I libri di consumo si leggono per la storia, per apprezzare la trama, per arrivare fino in fondo.
La letteratura si legge per riflettere, per scoprire qualcosa che già conoscevamo, ma non sapevamo esprimere. Si legge per trovare qualcosa di noi, tra le righe e nel cuore dei personaggi.

Oggi ricorre l'anniversario della nascita di Anton Cêchov, del quale - lacuna da colmare - ho letto solo un'opera, Il gabbiano.
Ne Il Gabbiano ho trovato tantissimo di me stessa, e anche di persone - in particolare una - che sono gravitate intorno a me.  Una lettura che mi ha dato tanto, e che mi ha fatto sentire meno sola. Con un finale che mi ha lasciato un senso di doloroso stupore. Lo stesso che ho sentito chiudendo Padri e figli. 


Qui un mio "capriccio letterario" sul Gabbiano. 

domenica 26 gennaio 2014

Lo straniero - Albert Camus

Quanto scrivevo pochi giorni fa sui classici, e sull'importanza di saper dire "non mi piace", si è concretizzato l'altro ieri, mentre leggevo, dopo aver rimandato per anni, Lo straniero di Camus.

Su Lo straniero sapevo tanto. Conoscevo alla perfezione la trama, avevo letto parecchi studi quando andavo a scuola, eppure non mi aveva mai attirata. Ad ogni modo, ho deciso che era giunto il tempo per leggerlo, e l'ho fatto.
L'ho letto come si legge un saggio, e non come si legge un romanzo. Con interesse e attenzione, ma senza partecipazione. Ho apprezzato la costruzione della narrazione, il focalizzarsi sul punto di vista del protagonista, la descrizione delle sue sensazioni puramente esteriori, e ho in minima parte simpatizzato con lui. Anch'io potrei uccidere qualcuno solo perché fa caldo (ok, sto scherzando. Forse...).
Però.. niente partecipazione emotiva. Perché il romanzo è costruito in un modo che non la sollecita, non la richiede. E invece io, per amare un libro, per eleggerlo a "romanzo che mi ha lasciato qualcosa" devo essere tirata dentro la storia, devo poter condividere le sensazioni del personaggio, farle mie. E un romanzo che - per la sua stessa struttura - non me lo permette, non potrà mai piacermi fino in fondo, nel senso pieno del termine.

E allora, per riprendermi (e siccome sono un filo malaticcia) ho deciso di rileggere qualcosa che avevo amato tantissimo qualche anno fa, alle superiori: Tonio Kroger.
Da questa rilettura, ho imparato una cosa. Che tanti mi avevano detto, ma io non avevo creduto. Ogni romanzo ha la sua età, il suo momento. E alla Giulia adulta, il Tonio Kroger è piaciuto lo stesso. Ma quella fascinazione che mi aveva avvolta nell'adolescenza... non c'è più. :(

giovedì 23 gennaio 2014

Recensione: Saffo - Gianluca Paolisso

Un cenacolo di sole donne, il Tìaso, istituito dalla divina Saffo per educare le fanciulle al futuro matrimonio e al culto delle Muse, con recitazione di poesie accompagnate da canti, discussioni sull'amore e sulla sua potenza, danze coreografiche. Un elegante circolo di fanciulle desiderose di accogliere gli insegnamenti della poetessa di Lesbo, di imparare i segreti di Eros, fiera dolce e amara, indomabile, scioglitore di membra. 

Saffo, maestra indiscussa, nutrice che insegna a scoprire "la naturale capacità di provare emozioni", accoglie nel suo circolo giovani aristocratiche, non dà ordini, non usa filtri,  non oppone resistenza: l'unica regola è aver amato e amare, avere un cuore gentile, predisposto a comprendere le melodie di un arpeggio, la delicatezza di un verso, ad accogliere Eros,  perché "in cor gentil rempaira sempre amore".



Ci vuole coraggio, a scrivere un romanzo su una delle figure più misteriose - e insieme amate - dell'antichità.
Coraggio e un pizzico di furbizia, perché in parecchi passaggi Paolisso - dimostrando una grande cultura e soprattutto un grande amore per essa - sollecita l'autocompiacimento del lettore, che istintivamente riconosce la citazione, i versi inseriti all'interno della prosa.
L'autore costruisce, attraverso i frammenti che ci sono pervenuti, una sorta di biografia di Saffo, poetessa famosa soprattutto per il Tìaso, la scuola da lei istituita per le giovani aristocratiche.
Più che la poetessa, l'autore ci presenta la Saffo "donna", della quale sappiamo tanto poco. All'interno del racconto, inserisce elementi, riferimenti, frasi che  rendono la vicenda - raccontata - di Saffo quanto mai attuale.
Con serenità, senza giudicare, senza scivolare nella morbosa attenzione per i particolari, che toccando certi argomenti è sempre dietro l'angolo, l'autore parla di una Saffo innamorata, innamorata di un'altra donna.
Forse per la prima volta viene così squarciato il velo di ipocrisia che ha sempre circondato questa figura, arrivando a negarle la vita sessuale e amorosa propria di una donna, relegandola al rango di sacerdotessa di un mondo del quale la tradizione ci ha consegnato poche testimonianze.
Anche gli altri personaggi che circondano Saffo sono straordinariamente umani, e anche il mancato riconoscimento, nel finale, di una verità, ci riporta a un quadro sociale e umano che è profondamente nostro, e che non possiamo far altro che, a denti stretti, accettare. Perché tutti noi, come Saffo, siamo incapaci di accettare una macchia sull'amato /amata.

Lo stile del racconto è preciso, corretto, elegante. Scorre fluido, mescolando con attenzione frammenti di Saffo alla vicenda, senza sottolinearli eccessivamente. All'inizio, mi disturbavano leggermente i dialoghi, quelle frasi così colloquiali inserite in una cornice così curata, ma dopo poco mi sono abituata, e risultano perfettamente coerenti con la scelta di raccontare la vita di una donna che potrebbe, in fondo, essere una nostra contemporanea. Perché alla fine è questo che rende i classici - greci e latini - sempre amati e sempre vivi: perché l'uomo (e la donna) nel corso dei secoli sono sempre stati e saranno sempre quelli, con i loro sentimenti e le loro emozioni.

Un sentito grazie va a Karta Edizioni, che mi ha fornito l'ebook da leggere e recensire.

martedì 21 gennaio 2014

Padri e Figli - Ivan Turgenev

Ecco... nel titolo di questo post manca la parola "recensione" perché credo che di una grande opera non si possa fare una recensione vera e propria. Si possono fare solo riflessioni, esprimere i propri pensieri.
Mentre cominciavo a leggerlo, mi chiedevo "dove sono stata fino adesso? Perché non l'ho mai letto prima?, perché mi sono accontenta di eleggere Dostoevskij a mio russo preferito?".
Rispetto a Dostoevskij, quest'opera di Turgenev si legge meglio; è più breve, ci sono meno confusioni tra nomi - cognomi - patronimici, discussioni e descrizioni meno lunghe.  Ci presenta due giovani: uno che si dichiara nichilista e l'altro che lo segue, alla ricerca di un'ideale da seguire, e ironicamente finisce per scegliere quello che gli ideali li rifiuta; due famiglie: una aristocratica e l'altra no, entrambe tese a compiacere il figlio, arrivando anche a temerlo; due personaggi disperati che nascondono il loro male di vivere dietro l'ordine e la perfezione: una donna, e uno zio "particolare". Entrano in relazione gli uni con gli altri, portandosi dietro il loro dolore, le loro ideologie e soprattutto l'appartenere a una generazione piuttosto che all'altra. E alla fine i giovani sceglieranno se seguire il nichilismo, o se voltarsi indietro verso la generazione dei padri. E scopriranno l'esistenza di una forza alla quale non si può resistere, una forza che scardina ogni proposito, ogni posa, ogni pretesa. Tutti noi la conosciamo
Ecco, in Turgenev ho trovato una meravigliosa disamina della famiglia, e soprattutto della contrapposizione generazionale, mai incontrata prima nella letteratura russa. Il giudizio è affidato al lettore. Turgenev non propone nessuna soluzione, nessuna filosofia, nessuna ideologia. Ci presenta dei fatti, ci descrive delle famiglie con una tenerezza che tocca l'anima.
E anche sul finale, Turgenev non rinuncia alla pietà, alla tenerezza, a creare della poesia.
Solitamente, quando leggo un classico cerco di informarmi più che posso sullo svolgimento della trama, e sul finale, per concentrarmi meglio sul racconto, sulle digressioni, sull'ideologia. Questa volta sono felice di non averlo fatto, perché il finale di Padri e figli mi ha sorpresa, mi ha dato un pugno allo stomaco. E mi ha lasciato con un senso assoluto di meraviglia, di silenzio. Lo stesso silenzio che avvolge quelle due figure sulle quali si chiude il romanzo, e il loro dolore.

Ho scelto di leggere Turgenev perché.. Cechov lo cita ne Il Gabbiano, altro testo che mi ha lasciata con una grandissima espressione di meraviglia e di stupore, come se lì dentro fosse raccontata una parte di me. E sono felice di essermi lasciata guidare da Cechov. Ancora una volta, indirettamente, mi ha dato tantissimo.

lunedì 20 gennaio 2014

Saffo - Gianluca Paolisso - Karta Edizioni

Tra i prossimi romanzi in lettura c'è anche Saffo, del giovane Gianluca Paolisso, attore teatrale che, diplomato all' Accademia Internazionale d'Arte Drammatica, ha lavorato al fianco di artisti del calibro di Gigi Proietti, Michele Placido, Lello Arena e Ugo Pagliai.

Saffo, elaborato dall'autore all'età di diciassette anni, è stato finalista al Premio Nazionale di Letteratura e Teatro "Nicola Martucci" della Città di Valenzano.
Si tratta di un romanzo storico dedicato alla poetessa di Lesbo, famosa per aver istituito il Tìaso, cenacolo di sole donne nel quale educava giovani aristocratiche all'amore, al futuro matrimonio e al culto delle Muse.  I pochi frammenti rimasti della produzione della poetessa hanno affascinato, e continuano ad affascinare, generazioni di studenti. 

Il romanzo è stato pubblicato dalla casa editrice Karta Edizioni - marchio di proprietà della società editrice scozzese Rotfuchs - nata a Cagliari nel 2011 con lo scopo di promuovere in Italia la cultura dell'e-book attraverso la pubblicazione, esclusivamente in formato digitale, di contenuti di vario genere e autore. Chi mi conosce, sa che tale progetto non può che entusiasmarmi!

giovedì 16 gennaio 2014

Recensione: L'imprevedibile viaggio di Harold Fry - Rachel Joyce

SINOSSI (da qlibri): Quando viene a sapere che una sua vecchia amica sta morendo in un paesino ai confini con la Scozia, Harold Fry, tranquillo pensionato inglese, esce di casa per spedirle una lettera. E invece, arrivato alla prima buca, spinto da un impulso improvviso, comincia a camminare. Forse perché ha con la sua amica un antico debito di riconoscenza, forse perché ultimamente la vita non è stata gentile con lui e sua moglie Maureen, Harold cammina e cammina, incurante della stanchezza e delle scarpe troppo leggere. Ha deciso: finché lui camminerà, la sua amica continuerà a vivere. Inizia così per Harold un imprevedibile viaggio dal sud al nord dell'Inghilterra, ma anche dentro se stesso: mille chilometri di cammino e di incontri con tante persone, che Harold illuminerà con la sua saggezza inconsapevole e la forza del suo ottimismo. Harold Fry è un eroe senza essere super, un tipo alla Forrest Gump, un uomo speciale capace di insegnarci a credere che tutto è possibile, se lo vogliamo davvero. Toccante, commovente, ma anche venato da un'irresistibile ironia, L'imprevedibile viaggio di Harold Fry di Rachel Joyce è un romanzo semplicemente indimenticabile: la più bella celebrazione dell'amicizia, dell'amore e dei sogni che vi capiterà di leggere per molto, molto tempo. 


L'imprevedibile viaggio di Harold Fry è forse la storia più "strana" - senza finire nel paranormale,  - che abbia letto nell'ultimo anno. 
è un romanzo in cui succede veramente poco: Harold cammina, soffre, conosce persone, incontra per la prima volta in vita sua "la gente", ma non ci sono grandi avvenimenti che portano svolte impreviste nella trama. Il viaggio di Harold ha un inizio e una fine. E noi lo accompagniamo. 
La cosa più bella di questo romanzo è sicuramente lo stile dell'autrice, Rachel Joyce. L'autrice indaga fino in fondo non solo i pensieri di Harold, ma anche la sua fisicità, il suo essere uomo di carne e sangue. Harold cammina, e ha le vesciche. E tutte le sere lava gli stessi vestiti col detersivo in polvere, e poi li mette ad asciugare sul termosifone. Dopo un po', invece, non li lava più, perché inizia a dormire per strada. La Joyce descrive tutto questo con chiarezza, ma anche con delicatezza ed eleganza: non c'è mai attenzione per il particolare disgustoso, o grottesco. Harold è un gentiluomo, e l'autrice è gentile con lui.
Oggetto principale del romanzo è la storia di Harold, di cui veniamo a conoscenza man mano lui procede nel suo viaggio. Ci sono parallelismi significativi, tra i due piani, presente e passato. Mentre comincia a ricordare la degenerazione di David, da figlio perfetto a... figlio meno perfetto (voglio evitare spoiler!) anche Harold comincia a fare fatica, a soffrire, a dormire per strada.
Alla fine del viaggio, e del romanzo, Harold ritrova quello che aveva perduto. C'è il lieto fine, quello che lui e sua moglie meritano. 

Vi è, purtroppo, una nota dolente: in alcuni punti il romanzo è un po' lento, la Joyce indulge nel descrivere il viaggio di Harold, inserendo alcuni elementi (a parer mio) non strettamente necessari. 
Il romanzo rimane comunque consigliato, lettura leggera che non scade mai nel banale.

martedì 14 gennaio 2014

Chiarimento al post sui "classici"

Siccome il mio ultimo post ha suscitato, su una pagina Facebook, un dibattito abbastanza acceso, e sono stata accusata di aver generalizzato, non nelle intenzioni ma nella forma, vorrei chiarire.

Questo blog è dedicato a un argomento "serio": i libri, e la cultura. Ma esaminati attraverso una lente particolare: la MIA personale lente e, di conseguenza, le mie opinioni e il mio pensiero.

Credo che mi segue da tanto non abbia avuto difficoltà a cogliere e condividere, o non condividere, quanto ho scritto, soprattutto perché conosce il mio modo di esprimermi. 
Io non ho mai inteso generalizzare e affermare che tutte le persone che hanno alle spalle, o portano avanti, studi classici, siano incapaci di esprimere un giudizio autonomo su un "mostro sacro" della letteratura. 
In particolare, il "periodo incriminato", accusato di essere generalizzante, è quello in cui scrivo che "in noi che abbiamo fatto studi classici (...) è invece vivo una sorta di timore..": in questa frase ho, effettivamente, omesso qualsiasi aggettivo o avverbio che potesse ricordare al lettore che si trattava di una mia opinione, e che soprattutto non mi stavo riferendo a tutti coloro i quali hanno compiuto un particolare - e meraviglioso - percorso di studi.  Non li ritenevo necessari, in quanto quel periodo si andava a incastonare in mezzo ad altri che dichiaravano palesemente la mia volontà a non generalizzare. 
Ad ogni modo, mi scuso con chi non ha colto il messaggio: mi spiace di essere stata poco precisa, demandando al lettore il compito di cogliere il "succo" del mio messaggio. Messaggio che ho voluto esprimere secondo il mio stile personale, serio ma non troppo, allegro e autoironico. Stile al quale non voglio rinunciare, perché è vero che questo blog raggiunge parecchie persone, ma è anche vero che rimane "mio".

Detto questo, a chi è approdato ieri, o oggi, su questo blog, va il mio più caloroso benvenuto. Sentitevi liberi di commentare, dibattere, litigare e polemizzare (non troppo!) sia nei commenti sia sulla pagina Facebook del blog. Unica regola: la buona educazione e il rispetto reciproco. 

lunedì 13 gennaio 2014

Timor di classico: il (non) coraggio di dire "non mi piace"

E' parecchio diffusa, tra le persone di una certa cultura - cioè che hanno compiuto studi letterari, e hanno letto molto, sia per dovere sia per piacere - la paura di esprimere un parere soggettivo su un grande classico della letteratura.
Spesso, si tende a trincerarsi vero frasi come "non riesco ad apprezzarlo perché non ne so abbastanza, non ho abbastanza conoscenze per capire il contesto culturale di riferimento", pur di non dire "no, non mi è piaciuto". Invece, chi non ha compiuto studi letterari, e si avvicina a questo tipo di letture, ha meno problemi, solitamente, a diree a spiegare, perché non ha apprezzato l'opera in questione.
In "noi" che abbiamo fatto studi classici (mi riferisco a chi ha SCELTO questo tipo di percorso, e l'ha amato), o che abbiamo conseguito una laurea in lettere & affini, è invece vivo una sorta di "timore reverenziale" nei confronti dei classici: la letteratura ci è stata posta su un piedistallo, è un qualcosa da amare e difendere a spada tratta, non possiamo dire che non ci piace, dobbiamo giustificarci.

Non sono d'accordo, mi dispiace. Credo che l'amore per la cultura e la letteratura non debba privarci della nostra autonomia di giudizio (critico): dobbiamo anzi cercare di capire perché non ci piace, perché non è nelle nostre corde. Infatti, al di là delle conoscenze che si possono avere in merito all'argomento trattato, non è detto che tutte le storie - o tutti i modi di raccontarle - siano affini al nostro sentire.
Di Dostoevskij, ad esempio, ho adorato tutti i grandi romanzi, meno uno: I Demoni. Proprio non mi vanno giù. Sicuramente vi è qualche lacuna, non ho le conoscenze necessarie in materia di cultura russa, ma sono l'andamento del racconto, la prosa, a non risvegliarmi nessuna emozione e, di conseguenza, nessun interesse.
Allo stesso modo, ho pianto come un maiale sgozzato (immagine poetica, eh?) leggendo Storia di una capinera, mentre ho detestato I Malavoglia dalla prima pagina all'ultima: il Verismo di Verga non fa per me, quella prosa difficile e involuta non mi cattura, per nulla.  Anche D'Annunzio: Il piacere e L'Innocente (terribile!) sono nell'Olimpo dei miei libri preferiti, mentre La figlia di Jorio...proprio no.
Grande scoperta dell'ultimo anno è stato Sei personaggi in cerca d'autore: letto attentamente, mi ha affascinato. Me lo sono fatto spiegare, subissando il docente di teatro di domande (poverino...), e sono riuscita ad apprezzarlo ancora di più. Mentre, invece, niente da fare per Uno, nessuno e centomila e Il fu Mattia Pascal.

Il prossimo classico in lista è Padri e figli di Turgenev. Mi piacerà?

sabato 11 gennaio 2014

Recensione: Il vero volto - Lanfranco Pesci

Sinossi (fornitami dall'autore): Durante una tranquilla notte, i teli che hanno fatto parte del corredo sepolcrale di Cristo vengono trafugati dalle cattedrali in cui sono custoditi da secoli. Dietro i furti, lo zampino di una misteriosa setta che decide di farli analizzare in gran segreto per svelare il mistero che avvolge la Sacra Sindone. Il Gran Maestro dell’Ordine dei Templari richiama al castello i suoi uomini migliori per mettersi sulle tracce dei teli scomparsi. Tutti iniziati all’arte degli assassini, addestrati alle pratiche dello spionaggio e del sapere esoterico. Aiutati da Lamech, ex mercenario convertitosi a spia papale e ostacolati da Sigmund, un enigmatico negromante straordinariamente affascinato dai reperti di Girolamo Segato, i protagonisti raggiungono il luogo in cui sta per consumarsi un incredibile e macabro sacrificio. La profezia di Nostradamus sta per avverarsi. Alcuni medici e studiosi vengono rapiti e chiamati a comporre un team ad hoc con il solo obiettivo di scoprire la verità sui Sacri Teli. Le ricerche portano ad una conclusione del tutto inaspettata: la Sacra Sindone è autentica, ma con essa, anche tutti gli altri teli. Inganni, tradimenti e colpi di scena si susseguono in un romanzo che vede come teatri degli scontri alcuni tra i più suggestivi luoghi d'Europa. Riusciranno mai, i protagonisti, a riconsegnare le Sacre Reliquie ai legittimi proprietari? Sarà pronta l’umanità a scoprire attraverso quale processo si è formata l’immagine impressa sul più venerato e osannato telo sepolcrale di Cristo? Ma ancora di più, sarà pronta l’umanità a scoprire qual è il nesso tra la Sacra Sindone e il famigerato Santo Graal? Solo la soluzione dell’enigma potrà dare una risposta, e questo dipende da te. 



Si tratta di un romanzo lungo, che esige una lettura attenta e concentrata, per non perdere nessun passaggio dell'enigma orchestrato.
La storia narrata muove da un eccellente punto di partenza, che incuriosisce subito il lettore: il romanzo, infatti, si focalizza su uno dei più grandi misteri di tutti i tempi, al quale l'autore arriva a proporre una soluzione; si tratta di un'ipotesi affascinante ma, non avendo le conoscenze adeguate, non entro nel merito della sua legittimità. 
Nell'intreccio, però, l'autore fa rientrare parecchi - forse troppi - elementi della nostra tradizione, rendendolo inevitabilmente un po' pesante e, a parer mio, troppo lungo: rimane ammirevole, tuttavia, la coerenza mediante la quale tutti questi elementi vengono collegati, segno di una grande conoscenza della storia e della cultura italiane e non solo. L'autore infatti non perde mai il filo del racconto, e nel finale ogni tassello trova il suo posto, anche se qualche coincidenza risulta, inevitabilmente, un po' forzata. 
Peccato, purtroppo, per lo stile: la narrazione è piatta e a tratti pesante, 
anche a causa delle continue chiarificazioni che l'autore si sente in dovere di fornire a chi legge, soprattutto al termine delle battute dei personaggi. Altra nota dolente è la punteggiatura: ci sono troppe virgole, e manca qualsiasi altra forma di correlazione / opposizione. 
A fare le spese di questo stile piatto, mediante il quale l'autore "spiega" e "racconta", ma non "mostra", sono i personaggi, che risultano privi di caratterizzazione e di approfondimento psicologico. Anche la storia, per quanto ben costruita, non risulta coinvolgente come meriterebbe.

In conclusione...lo consiglio agli appassionati di reliquie e di esoterismo, perché il testo è davvero interessante, ma non a chi si aspetta un thriller che tiene il lettore incollato alla pagina. 

mercoledì 8 gennaio 2014

Sulle Sfumature.

Pubblicamente, delle 50 sfumature ho parlato solo una volta. In parte, perché volevo evitare di unirmi anch'io al coro di chi le screditava, perché so che è vero quello che diceva Oscar Wilde, ossia "bene o male, l'importante è che se parli". Insomma, non potendone parlare bene, avevo pubblicato un piccolissimo post per poi chiudermi nel mio silenzio, cosciente che una critica articolata in più rischiava di diventare una pubblicità in più a un fenomeno di per sé deprecabile.

Purtroppo, è passato più di un anno da quando ho ultimato, sulla spiaggia di Finale, la lettura delle Cinquanta sfumature di rosso, ultimo capitolo della trilogia: la buona notizia è che non ne ho risentito particolarmente; la cattiva è che il primo volume è tra i dieci libri più venduti del 2013 (non scherzo, potete controllare qui). E a questo punto, il mio post non può fare tanto male, e allora scrivo. 

Che quei romanzi abbiano venduto tanto, non stupisce e non deve stupire: il sesso attira, da sempre. Sono stati accompagnati da eccellenti campagne pubblicitarie, e la valanga di stroncatore che si sono riversate in rete non hanno fatto altro che alimentare il fenomeno: magari non tutte l'abbiamo comprato, anche perché i libri - purtroppo - costano, ma (quasi) tutte l'abbiamo letto, per i motivi più svariati. Per curiosità, sicuramente. Per potersi fare un'opinione propria, per poterne parlare. Per essere sicure che facesse proprio così schifo come dicevano tutti. Le più sfortunate, l'hanno letto perché un'amica lo magnificava. 
Personalmente, ho orecchiato pochi consensi, qua e là. Non me ne vogliano le estimatrici delle Sfumature, ma sinceramente credo che... l'apprezzamento attribuito a un romanzo del genere sia spia di una scarsa educazione alla lettura, ingrediente fondamentale per la formazione di uno spirito critico vero e pungente.

Non è piaciuto, quindi, ma ha venduto. Con esiti abbastanza disastrosi, perché decine di donne si sono lanciate a proporre la loro trilogia, col risultato che le libreria sono state invase da gente legata e sculacciata per mesi. Mere operazioni commerciali, niente di più. Fermo restando che la parola "commerciale" non ha, necessariamente, una valenza negativa: una delle più grandi operazioni commerciali dei nostri tempi è sicuramente la saga di Harry Potter che, ben scritto - lo stile e la trama si evolvono nell'arco dei sette volumi, seguendo l'età dei protagonisti e dei lettori - e ben costruito, ha avvicinato alla lettura migliaia di bambini. E si sa, una volta che ti sei avvicinato con successo alla lettura, non te ne allontani più.

Ma all'interno delle Cinquanta sfumature non c'è NIENTE di buono. Ed è per quello che non riusciamo - noi, lettori di lungo corso innamorati dei libri - a perdonare nessuno, né l'autrice né gli editori per avercelo riversato addosso. Una scrittura piatta, banale, sempre sull'orlo dell'errore sintattico. Scene di sesso descritte fino al particolare più minuto, espediente che invece di eccitare annoia, personaggi stereotipati e antipatici.  E soprattutto, diseducativi. Per quanto riguarda lui... pazienza. Si poteva fare molto di più, date le premesse, per renderlo complesso, e ricco di quei chiaroscuri che il titolo vanta ma non si trovano da nessuna parte. Ma lei... lei no, non posso accettarla. è uno stereotipo vivente, ma di quelli brutti, pericolosi. Pericolosi perché non è ancora stato detto abbastanza forte, purtroppo, che una donna deve essere forte, autonoma, dotata di libertà di pensiero. Ana (ma poi...era necessario chiamarla così? come Anoressia?) si fa travolgere dallo spirito della crocerossina quando intuisce il tristissimo passato di lui, si piega a pratiche sessuali che inizialmente non desidera per accontentarlo. E se lui passa il segno, scappa. Ma scappa per vederlo tornare, non per salvarsi, e per rialzarsi. Si fa organizzare la vita, accetta tutte le scelte che lui le impone, comprese quelle più intime, in materia di igiene e di contraccezione (bello questo messaggio, complimenti), non tiene nulla per sé, niente. Si lascia manipolare, convincendosi che lui ha bisogno di lei. Peccato che, in un rapporto vero, sano, due persone non abbiamo bisogno di aggrapparsi l'una all'altra per stare in piedi.

Ecco, ho sintetizzato al massimo, perché avrei potuto scrivere per ore. è vero che avrei potuto non leggerle, che nessuno mi obbliga a parlarne, che non devo rileggerle (ci mancherebbe!). Ma purtroppo, è un fenomeno che mi fa paura. Perché un fenomeno del genere ha attecchito, e non solo per pochi mesi, a quanto dicono le statistiche. Continua a vendere, a suscitare curiosità. E chi c'è dall'altra parte non può che approfittarne, e cominciare a rincorrere la prossima autrice di qualche romanzo - spazzatura costruito ad hoc. Cioè non per educarci, ma per abbruttirci.