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venerdì 22 gennaio 2016

Recensione di "Eppure, me lo avevano detto!" di Roberta Castelli

Immagine presa da qui
SINOSSI (da Amazon): In un’estate come tante incontrai l’Iscariota. Il tempo mi ha purtroppo regalato la consapevolezza che quell’essere aveva venduto l’anima al diavolo, rubando senza scrupoli anche la mia. Questa è la storia che ognuno di voi avrebbe potuto vivere, fatta di alti e bassi, di gioia e disperazione, di smarrimento e redenzione. Gli orpelli vengono relegati alla società, talvolta sterile e preconfezionata, di cui si è figli. L’amore è inteso quasi in maniera shakespeariana: incondizionato, totalizzante e a volte anche tragico. Le parole sono scandite dai colori di struggente vita reale che suscitano numerose interpretazioni e supposizioni. L’intreccio tra onirico, desiderio, speranza e coraggio diventano i piloni fondamentali per arginare una forma mentis siciliana chiusa e retrograda, per delimitare la cattiveria umana che non conosce confini geografici e per dissuadere l’inesorabile dolore frutto della mancanza, emozionale e fisica. I personaggi del mio racconto sono istantanee, non digitali. Alcuni meriterebbero di essere relegati nell’oblio piuttosto che donare loro luce e visibilità, altre invece sono da assurgere a modello di vita. Resta a voi capire da chi farsi ispirare.

Ho letto questo libro un po' per caso, in un pomeriggio nel corso del quale ho sentito la necessità di allontanarmi un attimo dal pessimismo di Hardy.
L'autrice cura un blog che un annetto fa seguivo abbastanza e dal quale mi ero in seguito allontanata perché la sua percezione negativa della Germania mi creava ansia nel periodo per me delicatissimo dell'inserimento nel Paese che diventa, ogni giorno di più, la mia casa. Sono venuta a sapere - attraverso un'intervista all'autrice apparsa su un altro blog - dell'esistenza di Eppure, me l'avevano detto! e ho deciso di leggerlo, perché sono da sempre interessata al sempre più diffuso passaggio "da blog a libro"..
Passaggio che secondo me non tutti dovrebbero compiere: non tutti siamo capaci di raccontare o raccontarci nella forma del "romanzo", che è estremamente diversa da quella del blog. E non tutti abbiamo qualcosa di interessante da raccontare. 

In Eppure, me l'avevano detto!, Roberta si racconta. Racconta velocemente la sua infanzia, la sua adolescenza, le sue "prime volte" , e poi la sua vita di donna adulta e di madre, madre di una figlia nata da una relazione che definire complicata è dire poco. Ecco, sarebbe stato bello se Roberta si fosse concentrata su questa fase della sua vita, che definire difficile e dolorosa è riduttivo. Roberta viene letteralmente truffata per anni dal suo compagno, dal quale però non riesce a staccarsi.
Avrei apprezzato un tentativo si svisceramento di certe dinamiche, che sono sempre complesse e sfaccettate, e sulle quali non si dirà mai abbastanza. Invece viene dato, secondo me, troppo poco spazio ai sentimenti, alle sensazioni e all'analisi di questi. La narrazione procede veloce, indugiando in racconti e descrizioni di momenti e avvenimenti che per Roberta sono stati probabilmente importanti - penso alle prime esperienze sessuali, ad esempio, o alle ubriacature con gli amici - ma che al lettore, secondo il mio personalissimo parere, non interessano. A meno di non conoscere personalmente l'autrice.
Grande importanza riveste, in tutto il libro, il tema dell'amicizia, e questo sì che è trattato bene, lasciando agli avvenimenti il compito di descrivere le sensazioni. Verso la fine ho pianto.

Quello che proprio non va, secondo me, è la scrittura. Alcune frasi relative non stanno in piedi, nel senso grammaticale del termine, in un caso ho trovato una parola usata clamorosamente nel contesto sbagliato, e anche l'uso della forma comparativa è spesso particolare. Come ho già avuto occasione di scrivere, oggi tutti possono pubblicare. Però... se anche i grandi autori hanno bisogno dell'editor, significa che un bel lavoro di revisione serve anche ai comuni mortali.

giovedì 21 gennaio 2016

Recensione di Tess dei d'Urberville - Thomas Hardy

Oltre all'anno dei "libri belli", vorrei che il 2016 fosse l'anno in cui colmo un po' di lacune, in cui leggo finalmente i libri che ho da tanto in "lista".
So già che non sarà così, visto che sono abituata a scegliere un libro "a sensazione". Finisco un romanzo e scelgo la lettura successiva osservando la libreria o affidandomi alle emozioni che i vari incipit mi suscitano.

Per quando riguarda la letteratura inglese, ammetto candidamente la mia ignoranza. Ho letto poco e solo Jane Eyre mi ha dato emozioni simili a quelle che mi regala, per esempio, Maupassant. Non so tra le amanti della Austen, devo ammetterlo.

Di Hardy ho letto Via dalla pazza folla in occasione di una lettura condivisa su un gruppo Facebook, e sull'onda dell'entusiasmo avevo scaricato anche Tess. Che altrettanto per caso ho cominciato.

Sento di dover ringraziare la mia ignoranza: non conoscevo assolutamente la trama ed è stato bellissimo sorprendermi, temere, aspettare gli sviluppi della storia. La conclusione mi ha poi lasciata senza fiato. E con tante lacrime, ovvio.

Rispetto a Via dalla pazza folla, che mi dicono essere un'eccezione nell'opera di Hardy, Tess è molto più cupo, e da metà in poi decisamente angosciante.
Ho adorato ancora una volta le descrizioni della natura, natura che è così incurante di ciò che accade all'uomo, eppure a volte sembra fare da specchio ai sentimenti di Tess e a ciò che le succede.
Detestabili le figure maschili, eppure tanto "vere". Così come veri sono i loro atteggiamenti.
Mi riferisco in particolare alla "conversione lampo" di Alec, che appena rivede Tess torna sui suoi passi, e alla conversazione tra Angel e Tess dopo le loro nozze: Hardy riesce a far sì che dalla pagina escano delle sensazioni vere, che potremmo provare anche noi o che ha provato qualcuno a noi prossimo, facendoci male.

La vicenda di Tess è in un certo senso accostabile a quella di Maggie de Il mulino sulla Floss: si parla sempre di condizione della donna, di conseguenze sociali che investono solo lei. Di distanza tra la legge della natura e quella degli uomini. E non sembra esserci speranza, come viene dimostrato anche dall'assenza di lieto fine. Che non è solo assente: è impossibile.

C'è dolore, c'è rabbia, c'è anche - purtroppo - rassegnazione, mentre si legge Hardy. C'è angoscia, mentre si aspetta la tragedia finale. La rabbia la proviamo soprattutto leggendo le parole di Alec, vedendo Tess che si sente colpevole della sua bellezza: da Adamo ed Eva in poi, è sempre la donna il diavolo tentatore, il male, colei che attira su di sé la rovina e deve espiare la colpa. Pagando per tutta la vita.

Fa quasi male, dire che mi è piaciuto. Perché una storia così straziante non dovrebbe esistere, ma se Hardy l'ha raccontata vuol dire che di storie così ne sono esistite anche troppe.


lunedì 18 gennaio 2016

Il Capitan Fracassa - Théophile Gautier

Ho cominciato il 2016 col proposito - difficilmente realizzabile, per più di un motivo - di leggere solo libri "belli", che mi lascino qualcosa, che mi facciano stare bene.

Non credo che il mio sia snobismo nei confronti della letteratura contemporanea, ma quando penso a cosa mi fa star bene davvero quando leggo, la mia mente corre subito alla letteratura del passato.
Amo le descrizioni lunghe e le storie appassionanti. Amo l'introspezione psicologica e, soprattutto, adoro leggere della società ottocentesca.

Ero alla ricerca di un "bel" libro, mi è stato consigliato il Capitan Fracassa e, d'impulso, l'ho scaricato e l'ho cominciato.

Sono rimasta stregata descrizione iniziale del castello in rovina del barone di Sicognac, descrizione lunghissima che potrebbe scoraggiare in fretta i lettori mordi e fuggi, quelli che vogliono subito la trama. Quelli che leggono solo i romanzi rosa che leggo io in tedesco, per capirci.
Ho evidenziato tantissimo - santo Kindle! - durante la lettura. Stralci di descrizioni, di dialoghi, citazioni classiche di cui il romanzo è pieno zeppo, riflessioni sul mondo del teatro e dell'arte.
Queste ultime riflessioni le ho riconosciute subito: erano citate nei miei libri di estetica e di storia del teatro. E' un peccato che quando si studia si abbia poco tempo da dedicare alle note bibliografiche, e le si insegua solo quando rimandano a quel saggio che "potrebbe servire". E' un peccato perché questo è un libro bellissimo, e sarebbe stato molto bene nella mia prima tesi di laurea.
La vicenda raccontata nel romanzo è appassionante, con un finale a sorpresa e un paio di prove di vero amore che mi hanno fatto salire le lacrime in gola. Lacrime che poi ho lasciato scorrere liberamente nelle ultime due pagine.

Ho scritto di amare l'introspezione psicologica. Qui ce n'è pochina a dire il vero, ma non ho percepito la sua assenza come una mancanza, anzi.

Se amate leggere i libri che vi restano dentro per come sono scritti, questo è il romanzo per voi.

domenica 10 gennaio 2016

Su LEGGERE A COLORI: Panic di Lauren Oliver

E' l'ultimo anno di liceo per tanti ragazzi a Carp; l'estate per loro porta con sé, ormai da tanti anni, un gioco appassionanate quanto pericoloso: Panic. I partecipanti si sfidano tra loro attraverso prove sempre più rischiose con la speranza di vincere alcune decine di migliaia di dollari che promettono di portarli via da Carp e dalla mediocrità.


Heather, Bishop e Nat sono amici fin dall'infanzia e hanno appena concluso le scuole superiori: la giornata successiva alla cerimonia per la consegna del diploma è quella in cui si comincia a giocare al famoso Panic. Gioco di cui praticamente tutti, nella cittadina, conoscono l'esistenza, anche se gli organizzatori fanno di tutto per tenere le prove – pericolosissime e al limite dell'illegale – nascoste alle autorità....




Continua a leggere su Leggere a Colori!



domenica 3 gennaio 2016

"Eva dorme" di Francesca Melandri

Sinossi (da Amazon): È l'alba. Anche stanotte Eva non riesce a dormire. Apre la finestra: l'aria pungente e dolce dell'aprile altoatesino sa di neve e di resina. All'improvviso il telefono squilla, la voce debole di un uomo che la chiama con il soprannome della sua infanzia: è Vito. È molto malato, e vorrebbe vederla per l'ultima volta. Carabiniere calabrese in pensione, ha prestato a lungo servizio in Alto Adige negli anni Sessanta, anni cupi, di tensione e di attentati. Anni che non impedirono l'amore tra quello smarrito giovane carabiniere e la bellissima Gerda Huber, cuoca in un grande albergo, sorella di un terrorista altoatesino e soprattutto ragazza madre in un mondo ostile. Quando Vito è entrato nella sua vita, Eva la figlia bambina, ha provato per la prima volta il sapore di cosa sia un papà: qualcuno che ti vuole così bene che, se necessario, perfino ti sgrida. Sul treno che porta Eva da Vito morente, lungo i 1397 chilometri che corrono dalle guglie dolomitiche del Rosengarten fino al mare scintillante della Calabria, compiremo anche un viaggio a ritroso nel tempo, dentro la storia tormentata dell'Alto Adige e della famiglia Huber. La fine della Prima guerra mondiale, quando il Sudtirolo austriaco venne assegnato all'Italia, quando Hermann Huber, futuro padre di Gerda, perse i genitori e con loro la capacità di amare.



Se il buongiorno si vede dal mattino, il mio 2016 può essere un anno di grandi letture. 
L'ho cominciato per caso, era tanto che l'avevo sul Kindle ma non mi aveva mai "chiamata". Forse perché sulla questione sudtirolese avevo tanto amato Eredità di Lilli Gruber.
Lo sfondo storico culturale è lo stesso, per quanto il romanzo della Melandri abbracci un arco cronologico più ampio e arrivi a toccare eventi a noi vicini, e mi sono di nuovo stupita di quanto noi giovani siamo, su certe cose, profondamente ignoranti. Prima di leggere i due romanzi, non avevo mai sentito parlare della questione Sudtirolese, della cosiddetta Opzione, della difficoltà - e della frustrazione - che provava chi era di madrelingua tedesco a esprimersi in italiano. Difficoltà che oggi come oggi posso capire al 100%. 

Quello che tiene incollati al libro è il "racconto". La storia di Eva e di sua madre Gerda: due donni forti, segnate dalla stessa mancanza. Quella della figura paterna. Figura paterna che Eva decide di andare a cercare, compiendo un viaggio in treno attraverso l'Italia che è un viaggio nella memoria personale e storica. Arrivata alle ultime pagine ho pianto, perché è un libro denso di dolore, di perdita, di cose che sarebbero potuto andare diversamente ma non è successo. E non è successo perché l'amore, quello vero, ti fa amare la persona amata più di te stessa, e ti porta a decidere per lui, magari anche sbagliando. Non è successo perché la Storia, la società e i suoi pregiudizi si mettono in mezzo, e ci costringono a deviare dalla strada che abbiamo sognato. Ci costringono a prendere altre decisioni, per risparmiarci un dolore che ipotizziamo più grande. O a rinunciare del tutto a percorre quella strada, come è successo a Ulli.

Ma alla fine, all'ultima pagina, il messaggio è positivo: 
"E ora sto abbracciando mia mamma perché nulla e nessuno ci può risarcire di ciò che abbiamo perduto, neppure coloro che sono colpevoli di quelle perdite, né quelli che (...) ne sono stati l'origine o la causa, e alla fine, quanto tutti i calcoli sono stati fatti (...) l'unica cosa che conta è questo: che ci possiamo ancora abbracciare, senza sprecare più nemmeno per un istante la straordinaria fortuna di essere ancora vivi."



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