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venerdì 21 dicembre 2012

Recensione: “Eredità”–Lilli Gruber

TRAMA (da aNobii): È il novembre del 1918, e il mondo di Rosa Tiefenthaler è andato in frantumi. L’Impero austroungarico in cui è nata e vissuta non esiste più: con poche righe su un Trattato di pace la sua terra, il Sudtirolo, è passata all’Italia. “Il nostro cuore e la nostra mente rimarranno tedeschi in eterno”, scrive Rosa sul suo diario. Colta e libera per il suo tempo, lo tiene da quasi vent’anni, dal giorno del suo matrimonio con l’amato Jakob. Mai avrebbe pensato di riversare nelle sue pagine una così brutale lacerazione. Ne seguiranno molte altre. In pochi anni l’avvento del fascismo cambia il suo destino. Cominciano le persecuzioni per lei e per la sua famiglia, colpevoli di voler difendere la loro lingua e la loro identità: saranno arrestati, incarcerati, mandati al confino. E Rosa assiste impotente al naufragio di tutte le sue certezze. Intorno a lei, troppi si lasciano sedurre da un sogno pericoloso che si sta affacciando sulla scena europea: quello della Germania nazista. Non potrà impedire che Hella, la figlia minore, sia presa nel vortice dell’ideologia fatale di Hitler. E presto dovrà affrontare la scelta impossibile tra l’oppressione e l’esilio. Nata austriaca, vissuta sotto l’Italia, morta all’ombra del Reich, Rosa è il simbolo dei tormenti di una terra di confine. Su quella frontiera è cresciuta Lilli Gruber, sua bisnipote, che oggi attinge alle parole del suo diario. E racconta una pagina di storia personale e collettiva in questo libro appassionato, teso sul filo del ricordo, illuminato da una felice vena narrativa. Intrecciando testimonianze e documenti, lettere e memorie, apre ai lettori le porte di un Sudtirolo dilaniato e splendido, dietro cui si stagliano un’Italia presa nella morsa della dittatura e un’Europa travolta dall’incubo delle guerre mondiali.
All’inizio della lettura, sono stata tentata di abbandonare questo libro: ero un po’ annoiata, affaticata da quello che – pur essendo stato presentato dalla sua autrice a Che tempo che fa come un romanzo – mi sembrava un saggio storico neanche troppo brillante. Arrivata a più o meno un quarto del libro, ho riveduto totalmente la mia posizione: Eredità di Lilli Gruber è avvincente (quasi) come un romanzo, insegna come un saggio storico e fa riflettere ancora di più.

E’ avvincente come un romanzo perché – come si evince dalla trama – ci tiene ancorati alla storia di una famiglia precisa, e soprattutto alle vite di due donne ben delineate: la coraggiosissima Rosa, bisnonna della Gruber, e la di lei figlia minore, Helena detta Hella.

Insegna, e molto, perché parla di qualcosa a cui nessun docente di storia ha mai fatto più di un rapido cenno, né a scuola, né all’università; qualcosa che i libri di storia non raccontano come dovrebbero: la questione del Sudtirolo, la sua annessione all’Italia dopo la Grande Guerra, l’italianizzazione forzata avvenuta sotto il fascismo, la conseguente proibizione di parlare il tedesco. La speranza, di molti, che l’avvento di Hitler fornisse una via di fuga al fascismo, un’occasione per riappropriarsi della propria cultura, della propria lingua, della propria libertà. La terribile questione dell'opzione: i cittadini del Sudtirolo dovettero scegliere, entro il 31 dicembre del 1939, se abbandonare le loro terre per trasferirsi nel Reich e tornare a essere “tedeschi” o rimanere sul loro suolo natio e rinunciare per sempre alla loro cultura. In 70.000 lasciarono le loro case.

Lilli Gruber ci racconta tutto questo e molto di più. Ci racconta la storia di Hella, il suo arresto, la tragica esperienza del confino, la sua liberazione avvenuta grazie alla sorella Berta, che riuscì ad avvicinare Ciano a Vienna.  Osserva perplessa la sua adesione all’ideologia hitleriana, senza cercare di giustificarla: era chiaro a molti che Hitler non era davvero interessato al Sudtirolo, ma tanti si illusero. Ci fa guardare la Storia del Sudtirolo da un altro punto di vista, portandoci a porci delle domande sulla retorica questione dell’irredentismo. Ci racconta la Storia attraverso la storia della sua famiglia, dal 1902 al 1940, affrontando anche la questione dell’antisemitismo con uno stile asciutto, lontano tanto dalla freddezza quanto dal patetismo. Ci rende partecipi della tragedia di quei cittadini sudtirolesi privati dall’oggi al domani della loro lingua, e obbligati a parlare in italiano. Ci racconta il dolore di tanti giovani nel dover prestare servizio militare sotto la bandiera italiana, nemica.

Ho un debole per la Gruber da quando, in terza elementare, l’ho interpretata in una recita scolastica, con tanto di parrucca rossa. Leggendo questo libro ho apprezzato particolarmente il suo modo obiettivo e sempre attento, critico, di osservare gli eventi. Di descrivere il Brennero, che con l’abolizione delle frontiere ha perso vitalità; di raccontare di un suo tragico viaggio in treno; di affrontare questioni politiche e sociali che oggi, più che mai, sono importanti. Ho apprezzato il suo coraggio nello scrivere che “il passato resiste, ma la memoria è sempre troppo corta”, nel far notare che dopo l’arresto di Mussolini tutti i suoi sostenitori si dissolsero, facendo apparentemente dell’Italia un paese abitato solo da nemici del regime, e lo stesso fu per l’adesione al nazismo da parte dei sudtirolesi.

Sul Kindle ho evidenziato molto, vi lascio un passaggio solo. Il grassetto è mio.

“Queste vette non hanno più storie da raccontare, né tristi né gioiose, il passo è diventato il simbolo di un continente senza più frontiere, dove certe lezioni sono state apprese. Ma sarà poi così vero? A quasi un secolo dal crollo degli Imperi centrali, una nuova e grave crisi economica, politica e morale minaccia oggi con i suoi sconvolgimenti la costruzione di un’Europa riconciliata”.

(Post pubblicato, in origine, qui)

mercoledì 12 dicembre 2012

Battle Royale–Koushun Takami

TRAMA (da Wikipedia) : Nella "Repubblica della Grande Asia", uno stato totalitario geograficamente localizzato nel Giappone della realtà, vige il BR Act. Secondo tale legge, ogni anno viene scelta tramite sorteggio una classe di terza media per partecipare al cosiddetto Programma. Il gioco consiste in una lotta all'ultimo sangue in cui i giovani e sorpresi (perché tenuti all'oscuro di tutto, e trasportati sul posto con l'inganno) partecipanti devono impugnare l'arma, affidata loro a caso, contenuta in uno zaino e uccidersi a vicenda in un luogo scelto appositamente dal governo, precedentemente evacuato: in questa edizione si tratta di un'isola deserta e sconosciuta. Per costringerli a partecipare, tra i vari espedienti c'è un collare che fornisce al centro di controllo la posizione degli studenti e che esplode in caso di fuga o di ammutinamento. L'obiettivo è che rimanga un solo superstite, l'unico che potrà fare ritorno a casa. Gli studenti sono 42, 21 maschi e 21 femmine.
I miei lettori abituali faranno un salto sulla sedia, a vedere questa recensione. Infatti, questo libro non è assolutamente ascrivibile al novero di quelli che sono solita leggere, anzi. Se non me l’avesse consigliato un amico, che ringrazio, mai e poi mai sarei venuta a conoscenza dell’esistenza di questo romanzo. E soprattutto, mai e poi mai l’avrei letto. Ci ho messo un po’ a macinarmi queste 650 pagine (nell’edizione Kindle), un po’ più di una settimana, che per i miei standard è un tempo lungo per un libro, per quanto possa essere corposo.
La trama è semplicissima. Il tema dominante è sostanzialmente l’amicizia: in un “gioco” simile, in cui si è tutti contro tutti, di chi ci si può ancora fidare? Predominano l’amicizia e l’affetto, o un istinto di sopravvivenza che si trasforma in attacco, in violenza, se la paura di morire ti porta ad attaccare e a uccidere per primo? Ci sono quarantadue ragazzini spaventati in questo libro, vittime di un sistema politico definito “fascismo perfetto” : “la cosa più vicina a una religione era la fede nel sistema politico…”. Paradossalmente, per motivi che spiegherò meglio oltre, è stata soprattutto questa presenza inquietante e incombente di un regime che chiamare totalitario è riduttivo a turbarmi profondamente. Questa assenza totale di libertà, perché, come ci spiega Shogo, i governanti proclamano che “ovviamente, ogni cittadino ha il diritto alla libertà, però quest’ultima deve essere controllata per l’interesse del bene pubblico”.
I ragazzini sono quindi pedine di questo governo, vittime di un gioco perverso, oggetto di scommesse da parte dei supervisori. In alcuni casi, i più insignificanti e piccoli dettagli della loro vita precedente assumono un valore enorme, spropositato. Diventa importante chi ha una cotta per chi, chi è stato gentile con chi. Chi ha aiutato chi, chi ha sorriso a chi, come e quando. Diversamente, la paura dell’altro porta anche a rimuovere i dettagli positivi, a trasformare quelli che prima erano amici in nemici da annientare. Un viaggio nella psiche umana in ogni ricordo, ogni piccolo pensiero riveste un ruolo importantissimo nel prendere le decisioni, nello scegliere se stipulare un’alleanza o se uccidere.
Una lettura affascinante, da questo punto di vista. Takami ci guida con precisione tra questi adolescenti: seguiamo la vicenda di Shuya, Noriko e Shogo come quella principale, ma con un ritmo alternato seguiamo anche quella degli altri personaggi. Partecipiamo alla loro follia, alla loro paura, alla loro morte. Morte che avviene sempre in maniera – ovviamente – violenta, e che ci viene descritta con toni altamente sanguinari e a tratti un po’ splatter. Mi è toccato saltare qualche pagina, lo ammetto.
Non sono sicura sia corretto valutare lo stile di Takami con criteri occidentali, ma ci provo. E’ uno stile freddissimo. Acuto, preciso, analitico, a tratti straniante: abbandona di colpo il personaggio per commentarne i pensieri e le azioni; procedimento che mi è piaciuto. Eppure, è uno stile a parer mio TROPPO freddo. L’ansia dobbiamo provarla noi, costruirla noi. Non veniamo aiutati. L’autore descrive le paure dei ragazzi, ma con tono asettico. Non ci sono passaggi coinvolgenti. Anche il tempo…il tempo qui è tutto, più il tempo passa più il gioco diventa difficile, aumentano le zone in cui i giocatori non possono più andare, il rischio che il collare esploda si fa sempre più alto… ma niente, non percepiamo nessun senso del tempo che scorre, nessuna ansia legata al suo corso inesorabile…Anche sul finale, dominato da una serie di colpi di scena, mi è capitato solo una volta di provare una piccola emozione non auto – indotta (per evitare spoiler, non vi dirò quando..), mentre per il resto sono rimasta indifferente a questo stile iperdescrittivo e razionalistico.
In conclusione… Consigliato sì, perché è comunque una lettura “diversa” e il libro è scritto bene, dal punto di vista lessicale – sintattico. Lo sconsiglierei a chi è troppo impressionabile, però.
Vi lascio la citazione… “Questa vita di merda è quella che si può avere in un paese di merda come il nostro. Ma sai, noi abbiamo anche la capacità di sentirci felici e di divertirci, no? Sono piccole cose, ma è abbastanza per colmare questo vuoto”.

(Post pubblicato, in origine, qui)