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domenica 1 ottobre 2017

Recensione di "Le otto montagne" di Paolo Cognetti

SINOSSI (da Amazon): Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia.
Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso» ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lí, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche.
Iniziano cosí estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri piú aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa piú simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito piú vero: «Eccola lí, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino». Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.


Di Cognetti avevo sentito tanto parlare, anche prima che vincesse il premio strega.
Non avevo però mai sentito il desiderio di leggere niente di suo, finché un suo articolo letto non so dove mi ha convinta, e ho deciso di cominciare proprio da Le otto montagne. 
Le otto montagne è un libro che non so definire. Non è, a parer mio, né bello né brutto, per quando odi questi giudizi così netti. Né appassionante né noioso, né lento né veloce...
E' un romanzo profondamente descrittivo ed evocativo. La vita di una montagna che non c'è più (o che pensiamo non ci sia più?) è raccontata con toni così precisi e insieme delicati che sembra di sentire le voci dei pastori al lavoro e il soffio del vento sui pascoli.
Le otto montagne racconta - a tratti - la vita di Pietro e Bruno: è la storia di due amici che, salvo una breve parentesi, si frequentano più o meno tutta la vita, e ciascuno di loro è testimone dei successi (pochi) e delle sconfitte (molte) dall'altro.

Una sorta di sensazione di incompletezza mi ha accompagnata durante tutta la lettura: tale sensazione si è acutizzata dopo essere arrivata al finale, che ho trovato leggermente scontato. Il fatto che fosse l'unico possibile non ha attenuato questa percezione.
Bruno non matura, non cresce, non elabora e Pietro lo fa solo in parte, in maniera a mio avviso non completa, non del tutto soddisfacente. Manca qualcosa alla sua vita, affinché noi possiamo capirla. Così come, a parer mio, manca qualcosa al libro.
Peccato!