Google+

domenica 21 agosto 2016

Il giardino al chiaro di luna - Corina Bomann

Sinossi (da Giunti):Mentre la neve ricopre Berlino con il suo manto candido, la giovane antiquaria Lilly Kaiser osserva i passanti transitare davanti alla vetrina del negozio, in attesa di rientrare finalmente a casa. A un certo punto, però, un uomo anziano varca la soglia e le consegna un prezioso violino, sostenendo che le appartiene. Scossa da quella visita, Lilly apre la custodia e trova uno spartito dal titolo “Giardino al chiaro di luna”. La curiosità cresce, insieme all’attrazione per quell’antico strumento. Con la complicità di Ellen, amica d’infanzia ed esperta restauratrice, e di Gabriel, affascinante musicologo, Lilly inizierà un viaggio che la porterà prima a Londra, poi in Italia, e infine nella lontana e selvaggia isola di Sumatra, sulle tracce di due enigmatiche violiniste scomparse molti anni prima.
Quale segreto si nasconde nella storia del violino? Per quale motivo è finito nelle sue mani? E cosa ha a che fare tutto questo con lei?


Durante un'estate per me particolare, trascorsa quasi interamente da sola a Valtournenche, avevo letto L'isola delle farfalle di Corina Bomann, e mi aveva lasciato una piacevole impressione. Sia chiaro: stiamo parlando di romanzi rosa, leggeri, rilassanti. Niente di impegnativo.
Da quando padroneggio il tedesco ho cominciato a leggere questo genere di romanzi esclusivamente in lingua tedesca, al fine di unire l'utile al dilettevole, che in questo caso è particolarmente utile essendo la Bomann un'autrice tedesca.

Come già L'isola delle farfalle, Il giardino al chiaro di luna è costruito sull'alternanza tra presente e passato, espediente narrativo che personalmente adoro. La vicenda si svolge tra Londra, Berlino e Sumatra, tra gli anni 20 e il presente di Lilly. 
Protagoniste sono Lilly, nel presente, e Rose, nel passato. Rose è una violinista famosissima, che all'apice della sua carriera sparisce: grazie alle indagini di Lilly e Gabriel scopriremo perché. 
Lilly è vedova, e grazie a questa vicenda capirà di essere finalmente pronta ad amare di nuovo. 
La narrazione è incalzante e piacevole, mai noiosa. Nonostante la storia di Rose sia molto triste, non c'è traccia di patetismo, anche se verso la fine la lacrimuccia arriva.

Se, come me, dovete ancora partire per le vacanze al mare, la Bomann può essere una compagnia piacevole!

giovedì 14 luglio 2016

Recensione di "Sono qui per l'amore" di Silvestra Sorbera

SINOSSI: (da liberolibro): Il romanzo, ambientato tra Torino e Borgaro racconta la storia di Massimo, pacato avvocato e Martina, eccentrica giovane donna. Tra i due c’è una differenza d’età non indifferente tanto che Massimo, seppur innamorato, ha paura di iniziare una relazione con la giovane. L’amore trionfa, almeno in parte. Massimo e Martina si sposano, hanno tre figli, Massimo è un brillante avvocato e un buon politico, è l’uomo che ogni donna vorrebbe ma Martina è stanca e così arriva la sua nuova vita. Il suo amore che deve difendere in un aula di tribunale.


Sono qui per l'amore è il terzo lavoro di Silvestra Sorbera che ho il piacere di leggere, e come sempre rimango stupita dall'ampia rosa di temi che nello spazio di poche pagine l'autrice riesce a trattare. Premetto che, per evitare di fare spoiler, non menzionerò quello forse più importante di tutti.
Il romanzo si apre in un'aula di tribunale: Massimo e Martina stanno dibattendo per la custodia dei figli. Sappiamo quindi fin dall'inizio quale sarà - purtroppo - il punto di arrivo della loro storia. Comincia così la narrazione a ritroso, attraverso la quale "assistiamo" ai primi appuntamenti tra Massimo e Martina, al loro matrimonio, alla nascita dei figli e alla loro crisi.
Il tema della vita di coppia è quindi centrale nel romanzo: vita di coppia resa particolare dalla differenza di età che separa  due sposi. L'autrice è ben lungi da esprimere un giudizio sull'argomento, ma lo sguardo con cui contempla tutte le possibili difficoltà è molto acuto.
Martina rimane incinta prestissimo, e la voglia di dedicarsi alla sua prima bambina la porterà a rinunciare gli studi, attirando su di sé le critiche dei genitori e dei suoceri. L'arrivo degli altri figli farà sì che la sua condizione di "mamma - casalinga" si fossilizzi ancora di più, portandola a una sensazione di perenne insoddisfazione e inquietudine che, unita alla sempre più frequente assenza di Massimo dovuta a impegni lavorativi e politici, farà sì che un nuovo incontro la colga in un momento di fragilità, e la aiuti a conoscere veramente se stessa.

Martina rimane in casa per occuparsi dei figli, e il marito la incoraggia: è un uomo profondamente "vecchio stampo", contento di avere una moglie giovane e bella, da poter anche esporre quando decide di darsi alla carriera politica. Anche qui, l'autrice lascia a noi il compito di farci un'opinione sulle scelte della coppia. Personalmente ho trovato il personaggio di Massimo egoista, mentre Martina mi è parsa statica, incapace di prendere una decisione, sempre in balia degli eventi.
E' una donna che a soli trent'anni si accorge di essere invecchiata: credo sia un rischio connesso con il mettere su famiglia troppo presto. 
La sua insoddisfazione la condurranno a costruire una relazione con una persona che sicuramente nutre per lei dei veri sentimenti, ma che la Sorbera non riesce a rendere simpatica: mi sono chiesta più volte se Martina si sia davvero innamorata, e se abbia scoperto una parte di sé che non conosceva, o se semplicemente si sia lasciata anche questa volta trasportare dagli eventi, mossa da una profonda inquietudine che è incapace di elaborare. 

Sono qui per l'amore è un romanzo che mostra - ancora - i progressi dell'autrice, il cui amore per la scrittura è notevole. Facendo però un confronto con La seconda indagine del commissario Livia ho trovato i dialoghi di questo romanzo meno ben riusciti, e anche il personaggio di Martina, come la sua non - scelta finale, potrebbero essere più convincenti. 


venerdì 8 luglio 2016

Recensione: "Tutti i giorni di tua vita" di Lia Levi

Sinossi: (dal sito di edizioni e/o): Una grande saga famigliare dagli anni Venti ai nostri giorni. Un padre, una madre e due figlie che si troveranno a impersonare due diversi destini, quello dell’impegno politico antifascista l’una, quello della docilità e della sconfitta l’altra. E una miriade di altri personaggi a comporre il vasto tessuto: un’attrice protetta dal Regime e che diventerà delatrice, una sarta fascista, una sprovveduta servetta di campagna, un genero di un’altra classe sociale, zii, cugini… La piccola storia quotidiana, fatta di amori, ribellioni, affetti e tradimenti, all’ombra di una Storia che incomberà sempre di più, irrompendo nelle vicende individuali fino a determinarle.


Fino a un mese fa, Lia Levi per me era solo la "mamma" di Brunisa di Una valle piena di stelle e Da quando sono tornata, due libri che nel corso della mia infanzia e prima adolescenza ho letto più volte, perché profondamente diversi dai "soliti" libri sulla guerra e sull'Olocausto che ci davano da leggere a scuola.
Tutti i giorni di tua vita è arrivato a casa mia grazie a un'amica tanto cara, che ha pensato di regalarlo a mia mamma, alla quale - a mia volta - l'ho sottratto.
In un momento un po' particolare della mia vita, questo libro mi ha fatto riscoprire il piacere di prendermi del tempo solo per me e di dedicarmi solo e unicamente alla vicenda raccontata, senza prestare attenzione a pensieri disturbanti.

Tutti i giorni di una vita racconta la storia di una famiglia - ebrea - dagli anni Venti in avanti.
Valfredo si trasferisce con la moglie e le due figlie già grandi, Regina e Corinna, in un appartamento buio al piano rialzato di un condominio di Roma. Appartamento rimasto a lungo invenduto, proprio perché poco luminoso e triste.
Tuttavia per Valfredo e la sua famiglia quella casa sarà un rifugio pronto ad accogliere tutti e a custodire i loro segreti. Attorno a questo nucleo famigliare ruota una serie infinita di personaggi: primi fra tutti i parenti, poi i mariti di Regina e Corinna, la sarta fascista, l'attrice nevrastenica e crudele e la cameriera più ingenua e sfortunata che si possa trovare.
Al centro di questo meraviglioso affresco ci sono loro, Regina e Corinna. L'una forte e indipendente tanto quanto l'altra è scialba e indecisa. Due figure che impersonano due diversi modi di reagire alle avversità della vita: con la lotta, oppure con la paura e la rassegnazione, insieme alla speranza che non succeda mai nulla a "noi". Impersonano anche due modi di vivere il rapporto con la famiglia: da un lato l'affermazione delle proprie volontà e dei propri desideri unito all'affetto filiale e fraterno, dall'altro il rifiuto di crescere, di assumersi le proprie responsabilità e di accettare che ora tocca a "noi" vivere, e non a chi "si occupa" di noi.

Sullo sfondo della storia delle due ragazze, e di tutti gli altri, c'è la Storia, quella con la S maiuscola, quella che abbiamo studiato a scuola. Storia che vediamo per così dire dall'interno. Prendiamo coscienza degli eventi insieme a Valfredo e alla ragazze. Assistiamo con un misto di rabbia e timore alla fascinazione di Valfredo per Mussolini, alla proclamazione delle leggi razziali, quando ancora qualcuno della famiglia pensa che non riguardi "proprio loro". Atteggiamento che possiamo definire non tanto ebraico quando, purtroppo, profondamente italiano. Questo immobile guardare gli eventi, sperando che questi passino senza toccarci troppo, o che comunque non arrivino mai a riguardarci.
E' - in fondo - l'atteggiamento di Corinna, in stridente contrasto con quello di Regina e di sua figlia Anna, che per reazione si avvicinerà all'Ebraismo più di quanto gli altri membri della famiglia non abbiano mai fatto.

Tutti i giorni di tua vita è un romanzo che non può lasciare indifferenti. La farfalla nera che vola per le stanze dell'appartamento ogni qualvolta che arriva una brutta notizia vola anche davanti ai nostri occhi, mentre verso la fine cerchiamo di trattenere le lacrime.


mercoledì 22 giugno 2016

Recensione: "I fiori rubati: la seconda indagine del commissario Livia" di Silvestra Sorbera

Trama (da Amazon.it): Due bambine scomparse, una strana signora che ama le margherite e il passato che torna dolorosamente nella vita del commissario Livia. Il lettore, seguendo la protagonista alle prese con il rapimento di due bambine di otto anni, entrerà nella sua vita, nella sua famiglia e scoprirà quanto curiosamente, a volte, gli eventi si intreccino.

I fiori rubati: La seconda indagine del commissario Livia è, dopo Vita da sfollati, il secondo lavoro di Silvestra Sorbera che leggo. Di Vita da sfollati mi aveva lasciato perplessa la brevità: ricordo che mi era sembrato di leggere la sinossi di un romanzo e non un racconto autonomo.
Durante la lettura de I fiori rubati ho avuto invece la sensazione che la scrittura dell'autrice fosse maturata: la trama è più strutturata, anche se la conclusione è leggermente incredibile.
Bella la scelta della Sorbera di dedicarsi a tematiche diverse e attuali, come la maternità mancata, il rifiuto di avere un figlio o il desiderio di averlo a tutti i costi: è proprio grazie a questa pluralità di temi che si ha la sensazione di leggere un lavoro che, anche se non può porsi a confronto con i più noti gialli italiani, ha una sua autonomia e una sua struttura.
Anche i personaggi principali - Livia, Angelo e Lorenzo - meritano la lode: hanno un carattere proprio, apprezzabile dai loro gesti e comportamenti. Sarebbe stato interessante vedere approfonditi anche i personaggi secondari.
Unico neo è, a parer mio, la conclusione, che risulta un po' affrettata.

lunedì 20 giugno 2016

Recensione semiseria di "Il magico potere del riordino" di Marie Kondo

Sinossi (da Amazon.it): Un’infinità di oggetti di ogni tipo (abbigliamento, libri, documenti, foto, apparecchi, ricordi…) ci sommergono all’interno di abitazioni e uffici sempre più piccoli e ci soffocano. Col risultato che non troviamo mai quello che davvero ci serve. Nel libro che l’ha resa una star, la giapponese Marie Kondo ha messo a punto un metodo che garantisce l’ordine e l’organizzazione degli spazi domestici… e insieme la serenità, perché nella filosofia zen il riordino fisico è un rito che produce incommensurabili vantaggi spirituali: aumenta la fiducia in sé stessi, libera la mente, solleva dall’attaccamento al passato, valorizza le cose preziose, induce a fare meno acquisti inutili. Rimanere nel caos significa invece voler allontanare il momento dell’introspezione e della conoscenza.  


Eh sì, l'ho letto anche io. Giaceva - non letto, e so che se ne sta pentendo - nella libreria di mia mamma, sapevo che nel giro di un paio di giorni mi sarebbe toccato riordinare e ho fatto che incamerarlo.
E ho fatto bene, perché questo libro mi è piaciuto tantissimo. Ma non nel senso che voleva la Kondo, direi. Nel senso che ho finito di riordinare a modo mio e ogni tanto mi prendevo delle pause per leggerlo, rotolarmi dalle risate sul divano e sottolineare le parti più utili a prenderla per il culo ridicolizzare il tutto.

Ma partiamo dall'inizio. Il volumetto si legge in fretta, non è pesante, anche se spulciando alcune recensioni ho notato che molti lettori l'hanno trovato noioso perché l'autrice continua a ripetere due concetti in croce: effettivamente è vero, ma dopo le prime venti pagine ho capito che la lettura andava affrontata solo per cercare gli spunti (per me) comici e ho saltato alcuni passaggi.
La signora Kondo, va detto, mette in ordine le cose dall'età di tre anni: già alla materna leggeva riviste per casalinghe e successivamente tornava a casa da scuola e senza nemmeno togliersi l'uniforme si metteva a riordinare. In alcuni casi le è anche capitato di cadere a terra semisvenuta per aver riordinato troppo. Dopo un po' di tentativi ha individuato il metodo giusto per riordinare e ha iniziato a tenere corsi sul riordino, alcuni dei quali alle SEI E MEZZA del mattino. Va beh.
Forse i suoi genitori avrebbero fatto meglio a portarla da uno psicologo, ma è anche vero che se l'avessero curata non avrebbe fatto tutti i soldi che ha. Detto altrimenti, se la vostra nevrosi può farvi diventare ricchi e famosi datevi una mossa.

Il succo del suo metodo è: buttate tutto ciò che non vi serve e trovate una collocazione per quello che resta. Punto. La selezione va fatta partendo dai vestiti, per poi passare ai libri, alle carte e concludendo con le fotografie e i ricordi, perché ovviamente sono le cose più difficili da buttare.
Per capire cosa buttare e cosa no dobbiamo prendere ogni singolo oggetto in mano e capire se ci fa battere il cuore. Se ci suscita delle emozioni positive va tenuto, altrimenti buttato. E' fondamentale ringraziare tutti gli oggetti che buttiamo, anche il vestito pagato 400 euro e mai messo perché ci stava di merda non ci valorizzava: "Grazie, abito delle balle, che mi hai fatto capire cosa mi sta bene e cosa no!". Ora, io non so se nella cultura giapponese sia normale ringraziare gli oggetti, però a me la cosa suonava leggermente ridicola.
Da sottolineare che i clienti di Marie Kondo al termine del lavoro di selezione si ritrovavano con un numero impressionante di sacchi di immondizia a testa, e "riuscivano a vedere il pavimento". Insomma, a me sarebbe utile riuscire a tagliare il cordone ombelicale con certi feticci inutili ma il pavimento lo vedo benissimo ed è pure molto pulito, per cui forse il suo metodo è adatto soprattutto ai disordinati patologici.
Una volta finito il lavoro di selezione è necessario trovare un posto a ogni cosa, ordinando tutto per categoria, senza nessuna eccezione, mettendo in posizione più accessibile ciò che si usa più spesso.
L'autrice sostiene la non - utilità dei vari sistemi di organizzazione quali divisori e contenitori ma ci invita a utilizzare le scatole delle scarpe e i loro coperchi. A me sinceramente verrebbe male ad avere l'armadio zeppo di scatole di scarpe ma tant'è.
A questo punto saremo persone molto felici perché abbiamo fatto ordine e siamo riusciti a liberarci di ciò che non ci serve.  Le nostre stanze saranno belle come camere d'albergo (!!!) e noi prima di andare a dormire sorseggeremo rilassate una tisana come le donne delle riviste.
Non metto in dubbio che un ambiente ordinato giovi al corpo e alla mente, ma sinceramente trovo la celebrazione del potere del riordino un po' eccessiva.
Mi pare anche impossibile che la pigrizia non conduca a ritrovarsi di nuovo con un po' di disordine, ma pare che ai clienti della Kondo non accada.

Di seguito alcuni dei suoi consigli pratici che più mi hanno... colpito.

  • Piegate tutti i vestiti che potete. Lasciate appesi solo quelli che vi paiono felici di essere appesi.  Gli altri piegateli in modo che stiano in VERTICALE. Ora, o io sono stupida o la Kondo si spiega malissimo, fatto sta che se un'amica non mi avesse mostrato delle foto non avrei mai capito cosa intendeva. In sostanza si tratta di piegare gli indumenti come le commesse di Intimissimi piegano slip e canottiere. Sinceramente dubito che per le polo possa funzionare e soprattutto mi chiedo, come fa chi non ha cassetti? Tutto nelle scatole da scarpe, presumo.  Sempre parlando di vestiti, ricordatevi di non appallottolare le calze. Non riescono a riposare.
  • Libri: tenetene il meno possibile, solo quelli che vi fanno battere il cuore, gli altri buttateli senza pietà. Anche quelli che non avete ancora letto, perché significa che non li leggerete mai. La Kondo è fortunata che mia mamma appartenga a quelle folli che non buttano i libri prima ancora di leggerli, perché altrimenti avrebbe potuto dire addio al suo quarto d'ora di celebrità su questo blog.   In realtà la regina dell'ordine non è sempre stata così estremista coi libri. In passato ha tenuto quelli che contenevano delle frasi che l'avevano colpita. Poi ha deciso di copiare quelle frasi, ma siccome ci voleva troppo tempo ha deciso di strappare le pagine contenenti quelle frasi e di incollarle su un quaderno che nel giro di poco ha buttato perché si è accorta che non le faceva battere il cuore. Chissà come mai.
  • Mettete più cose possibile in verticale, comprese le carote che vanno messe nello scomparto delle bottiglie. Non ci è dato sapere dove debbano andare le povere bottiglie...
  • Svuotate ogni giorno la borsa, e trovate una collocazione adatta a tutte le cose che contiene, portafoglio compreso. Solo così la povera borsa potrà riposare. Non dimenticate di ringraziarla appena rientrate a casa la sera, perché ha fatto un duro lavoro. A essere sincera, da quando ho letto questo paragrafo ho cominciato a eliminare sistematicamente i "rifiuti" dalla borsa ogni sera e a ricoverare tutti gli spiccioli nel portafoglio, ma svuotarla tutta ogni sera anche no, dai. E se devo uscire di corsa all'improvviso che faccio?
  • Non appoggiare niente sulle superfici di cucina e bagno: effettivamente è vero che se asciugassimo e riponessimo sempre i bagnoschiuma faremmo meno fatica a pulire la vasca, però non puoi dirmi, Kondo, che devo asciugare i piatti e le pentole sul balcone al sole. Non puoi dirmelo perché si da il caso che io abbia una lavastoviglie, e soprattutto abito a Schweinfurt, con vicini che fumano e grigliano sotto le mie finestre. E tu abiti a Tokyo, cazzo, a Tokyo!  Il sole sarà anche un disinfettante come dici tu ma se ti ritrovi con tre teste sappiamo perché.

Sono stata un po' estrema, qualche buon consiglio c'è. Aiuta a capire che di alcune cose possiamo e dobbiamo davvero liberarci, anche se forse quello che serve davvero è imparare a non comprare fuffa.
Però...  :)

Lettura consigliata? Assolutamente sì. Fatevi due risate!


sabato 14 maggio 2016

Recensione di "Più alto del mare" di Francesca Melandri

SINOSSI (da Amazon): “Potevano i visitatori di un carcere speciale essere accolti dalla bellezza del creato? Sì, potevano. E questo era inganno, crudeltà, stortura.”. Asinara, fine anni Settanta. C’è la guerra, in Italia. È tempo di regime duro, tolleranza zero, e l’istituto di massima sicurezza dell’Isola ne è il luogo simbolo. Luisa non lo sa e quando sale sulla nave per far visita a un marito pluriomicida è agitata, sì, ma solo perché non ha mai visto il mare. Paolo invece ne sa fin troppo e, quando torna sull’Isola, quel profumo salmastro gli riporta alla mente le estati al mare con il figlio piccolo. Molto prima che l’orrore della lotta politica irrompesse nelle loro vite. Ma c’è una cosa che Luisa e Paolo hanno in comune: sono soli nel dolore, in un Paese che non può permettersi pietà pubblica per gente come loro. Bloccati sul posto dal maestrale, accettano l’ospitalità di una guardia carceraria, Nitti. Li attende una lunga notte che sembra disegnata dal destino.


Ho scaricato Più alto del mare subito dopo aver finito Eva dorme della stessa autrice, la mia prima lettura del 2016. Come spesso accade ho atteso prima di cominciarne la lettura, perché non amo leggere due libri dello stesso autore uno dopo l'altro.  Più alto del mare è stata una piacevole conferma di tutti i pensieri già espressi riguardo la scrittura della Melandri.
Se devo trovargli un difetto, che poi non è tale, è la brevità. Non è tale perché l'opera è perfettamente completa, eppure è talmente coinvolgente che vorremmo che le emozioni si prolungassero ancora per qualche pagina.  Mi è già capitato di piangere alla fine di un libro, ma in questo caso - straordinario - mi sono ritrovata a singhiozzare per tutte le ultime 30 - 40 pagine, completamente in sintonia con le emozioni dei protagonisti.
Il soggetto è sicuramente originale: non mi era mai capitato di leggere un romanzo i cui protagonisti fossero i parenti stretti di due carcerati, e mi ha colpito la delicatezza dell'analisi psicologica delle loro emozioni, così simili e così diverse. Paolo va a trovare suo figlio e Luisa suo marito: se non fosse per questo enorme dolore, non avrebbero niente in comune, ex - insegnante lui e contadin alei. Eppure il dolore li unisce, li spinge ad aprirsi l'uno all'altra, e dà vita a momenti meravigliosi, in cui sono le anime ad amarsi, nel senso più puro del termine.
E poi c'è l'altra "faccia" del carcere, rappresentata dalla figura del secondino, Nitti. Un uomo buono, sfiancato dalla durezza della vita in carcere e sull'Isola. E come accade a Paolo, anche per lui l'incontro con Luisa sarà in un certo senso salvifico.
E poi c'è lei, l'Isola, che non è sfondo ma è protagonista. In tutto il romanzo viene chiamata sempre solo così, senza un cenno al suo nome.
E' l'Isola della Prigione per antonomasia, nella quale sul finire degli anni Settanta vengono rinchiusi i detenuti più pericolosi. E' un'isola bellissima, che viene descritta con toni talmente evocativi che ci sembra di percepirne l'odore: di tanta bellezza i detenuti non possono godere, e ce ne ricordiamo per tutto il corso del romanzo. C'è un contrasto netto, tra la "libertà" della natura e la reclusione. Ma non c'è pietismo per la condizione dei carcerati, come non c'è una condanna diretta da parte dell'autrice: sono loro stessi, le loro vicende e i loro cari, i loro giudici.

Breve e incisivo, consigliatissimo.



domenica 24 aprile 2016

Recensione di "Le anime bianche" di F. H. Burnett

Fonte: http://panesiedizioni.it/wp-content/uploads/
2016/01/Le-anime-bianche-F.H.Burnett.jpg
Sinossi (da Amazon): Ysobel è una ragazzina timida e minuta che non ha mai conosciuto i genitori e vive, assieme ai tutori Jean Braidfute e Angus Macayre, in un castello dall’aspetto austero immerso nella desolata brughiera scozzese. Fin dall’infanzia, la bambina mostra di essere dotata di un particolare “dono” che la rende diversa da tutti gli altri bambini; ella ha il “potere di vedere oltre le cose” e di entrare in contatto con le anime dei defunti, ormai libere dalle sofferenze e dalle paure dell’esistenza. 

Come tutti i bambini - lettori, ho amato Il giardino segreto, Il piccolo Lord e La piccola principessa.
Quando ho saputo della traduzione italiana de Le anime bianche mi sono precipitata ad acquistarla.
Si tratta di un racconto lungo, o romanzo breve, nel quale l'autrice esprime le sue convinzioni su ciò che ci attende dopo la morte: al Burnett ha qui cercato di elaborare il lutto per la perdita di suo figlio, facendo emergere una visione della vita affascinante e consolatoria.
Ci sono parecchi punti di contatto tra Le anime bianche e Il giardino segreto: Ysobel è, come Mary, cresciuta nell'isolamento, e la brughiera è una presenza importante, incombente. Se però per Mary era un elemento di disturbo, per Ysobel è quasi una compagnia. E' lì che può succedere di tutto, ed è sicuramente grazie a questo ambiente così magico che Ysobel sviluppa la sua capacità di vedere le anime bianche, capacità che la aiuterà a sopportare con coraggio il dolore per la perdita di chi ama.

E' opera vicina al romanzo gotico, che non racconta ma fa trasparire e percepire la magia. Non perdetevela!