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sabato 26 aprile 2014

Recensione: "Vite che non sono la mia" - Emmanuel Carrère

Sinossi (da qlibri): Nell'esperienza di ogni lettore c'è sempre l'incontro - spesso casuale, a volte unico - con un libro dall'apparenza innocua, inoffensiva, ma che poi si rivelerà essere una di quelle letture che cambiano la vita, o, quantomeno, ne sconvolgono le più sedimentate convinzioni. Ecco: Vite che non sono la mia è uno di quei libri. La storia è, come spesso lo sono le storie vere, semplice e terribile. Durante le feste di Natale del 2004, Emmanuel Carrère è in vacanza con la famiglia in Sri Lanka. Sono i giorni in cui lo tsunami devasta le coste del Pacifico: tra le migliaia di morti c'è anche Juliette, la figlia di quattro anni di una coppia di francesi a cui Carrère - accidentale testimone dello strazio di una famiglia - si lega. Qualche mese dopo, al ritorno in Francia, un altro lutto: la sorella della compagna dello scrittore - che casualmente si chiama anche lei Juliette - ha avuto una ricaduta del cancro che già da ragazza l'aveva colpita rendendola zoppa. Ha trentatre anni, un marito che adora, tre figlie, un lavoro come giudice schierato dalla parte dei più deboli, e sta morendo. Dall'incontro con Étienne, amico e collega di Juliette, anche lui passato attraverso l'esperienza della malattia, Carrère capisce che non può nascondersi per sempre: deve in qualche modo farsi carico di queste esistenze in un corpo a corpo con quell'informe che è la vita. Raccontare ciò che ci fa più paura. Ritrovare nelle vite degli altri, in ciò che ci lega, la propria. È quello che fa un testimone. Nascono così questo libro e i ritratti dei personaggi che lo abitano: tra i più luminosi e commoventi della letteratura contemporanea. 

Dopo La vita come un romanzo russo e L'avversario, Vite che non sono la mia è il mio terzo romanzo di Carrère. Poco prima di finirlo, ho proposto sulla pagina un mini sondaggio nel quale chiedevo consigli su che libro cominciare dopo averlo ultimato: ho preparato una piccola lista che potete andare a vedere. Alla fine, dopo aver chiuso Vite, non ho potuto far altro che iniziare Limonov, altro romanzo di Carrère che aspettava nel Kindle. Perché Carrère, con le sue parole, con le storie - strazianti - che racconta, ti cattura nel suo mondo, ti porta con sé, nella sua casa di Parigi. Come ne L'avversario, e in La vita come un romanzo russo, non mancano, anzi abbondano, i riferimenti alla vita personale, affettiva, sentimentale di Carrère, e alla gestazione del romanzo che tieni in mano. 
Spesso, leggendo, viene spontaneo chiedersi se ci sia, e quando sia grande, una differenza tra Emmanuel persona, personaggio e narratore. Ovviamente, non lo sapremo mai: ed è proprio quest'ombra di mistero a fare dei suoi libri le calamite che sono. Carrère prende la sua vita, e quella degli altri, e ne fa letteratura. In questo romanzo, Emmanuel affronta due delle sue più grandi paure, che sono quelle di molti di noi.  Descrive il dolore, il lutto, la malattia senza giri di parole, senza mezzi termini, ma anche senza compiacimento o morbosità. Si mette continuamente in discussione, si interroga su quanto i personaggi con cui è entrato in contatto gli raccontano, si chiede come ri-raccontare, come scrivere, quale sia la vocazione, il compito dello scrittore negli anni Duemila. Ed è proprio questo a creare una macchina meravigliosa, a far sì che attraverso le pagine traspaia il fascino dell'autore. E attraverso di esso, abbiamo riusciamo a sentirci pienamente umani, a soffrire per le sorti delle due Juliette, delle loro famiglie, di Étienne .
Avevo letto, non so dove, che questo è il romanzo più riuscito dell'autore. Nel corso della lettura mi chiedevo perché, dato che non mi sembrava stilisticamente più riuscito de L'avversario: ma arrivata alle ultime pagine, ho capito. Attraverso gli eventi narrati, Emmanuel si mette in discussione, impara ad amare, ad accettarsi. Ed è lieto fine.

"Certo, immagino che se ci è dato di durare ci saranno delle crisi, dei momenti di stanca, delle burrasche, che il desiderio si consumerà e si volgerà altrove, ma credo che resisteremo, che uno di noi due chiuderà gli occhi dell'altro. Niente, in ogni caso, mi appare più desiderabile"


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