Oggi è un giorno speciale per Scusate, devo andare a leggere: per la prima volta sulla mia pagina viene pubblicato un racconto inedito. Ancora una volta, grazie a Gianluca per aver scelto il mio spazio per presentare la sua nuova creatura.Come ho già scritto ieri, questo è un racconto che parla alla "pancia", alle emozioni di chi legge. Ti cattura e ti porta per mano in una dimensione fatata, ti fa pensare a qualcosa che tutti conosciamo, abbiamo provato almeno una volta nella vita. Io mi sono sentita anche trasportata indietro nel tempo, in un film che ho visto tante volte nel corso della mia infanzia.Semplicemente, Vi auguro buona lettura.
Via della Neve
Via della Neve
Atterrai
in Via della Neve una sera di Dicembre, senza alcun preavviso.
Non
ricordo con precisione come vi giunsi, ma potrei giurare di aver
visto durante la caduta quell'immensa creatura che tutti noi
chiamiamo Notte: si aggirava a passo lento tra i banchi di nuvole, e
con le mani metteva in tasca gli ultimi bagliori del giorno. Il suo
sorriso era un taglio di oscurità, i denti pianeti e costellazioni.
Il
mio fondo schiena rimbalzò con un tonfo sulla superficie ghiacciata,
e in completa noncuranza del suo padrone iniziò a slittare
dolcemente verso chissà dove. Mi guardai indietro e sorrisi alla
vista della scia azzurrognola che parte del mio corpo lasciava in
ricordo al nulla dell'inverno. Continuai a scivolare senza compiere
il minimo sforzo, come sospinto da decine di mani, fin quando
all'orizzonte non apparvero delle casupole in legno: allora mi
fermai, di certo non per mia volontà. Mi scrollai dalla giacca
polvere di neve e aghi di pino, e guardai con un misto di paura e
perplessità quella curiosa composizione che tanto ricordava un
presepe diroccato: sì, quelle case erano di certo abbandonate,
eppure dall'unica via che tagliava di netto il paese proveniva una
luce calda, come di fuoco appena acceso. Di certo è un sogno,
pensai.
≪ Non
più di quanto lo sia il tuo mondo. - Mi voltai di scatto,
spaventato, e la vidi. D'improvviso avvertii il freddo, il tremore
che ne consegue. Non poteva essere vero - Alla fine sei arrivato ≫.
Dopo
lunghi istanti di silenzio alzai lo sguardo: la ragazza a pochi passi
da me sorrideva, una dolce ferita che mai potrò dimenticare.
Giocherellava con uno dei suoi riccioli neri, mentre gli occhi dal
lungo taglio sembravano piccoli figli del ghiaccio.
≪ Tu
sei ... ? ≫.
≪ Chi
sono io non importa - rispose la ragazza con tono fermo - Conta ciò
che vedrai, non cosa tutto questo significhi. Vieni ≫.
Quando mi prese la mano sentii che nulla oltre quel contatto avrebbe
mai avuto importanza.
Non
saprei dire quanto tempo fosse passato ... ricordo che superammo
un imponente arco di pietra, il cui volto striato d'argento doveva di
certo costituire un monito per chiunque avesse deciso di oltrepassare
i suoi confini.
Respirai
a pieni polmoni, l'aria fredda si spezzava in lame nel mio petto,
eppure tutt'intorno alle casupole di legno aleggiava quella luce
ambrata, tenera illusione di calore.
≪ Come
si chiama questo paese? ≫
chiesi alla mia guida, mentre dense nuvolette di vapore fuoriuscivano
dalla bocca.
≪ Un
paese? ≫
esclamò la ragazza, stupita. ≪
Ma questo non è un paese! ≫.
≪ Forse
mi son lasciato ingannare dalle case abbandonate ...≫
mormorai, intimidito.
≪ Sei
in Via
della Neve,
e quelle case non sono affatto abbandonate. Guarda ≫.
Mi
indicò un punto di fronte a noi, e ancora una volta rimasi sorpreso
dalla mia cecità. Nella nebbia un folto gruppo di persone si
accalcava ai bordi della strada, cercando di accaparrarsi il più
piccolo spazio utile nel raggio di pochi metri: sembrava che tutti
volessero guardare, sostare nello stesso punto, di certo non
dissimile dagli altri.
Ad
un tratto una donna tirò fuori dalla tasca una penna stilografica, e
facendosi scudo con il braccio destro iniziò a graffiare la
superficie ghiacciata distante pochi centimetri. Il suo volto
contratto tradiva il timore che qualcuno potesse violare il suo
pensiero appena nato. Diede un ultimo gesto di penna, come a voler
mettere il punto, e sorridendo osservò scie di lettere dorate
ricomporsi magicamente nell'aria, a formare una dolce frase d'amore,
che scomparve poco dopo nella luce ambrata che tutto avvolgeva. La
donna si scansò, lo sguardo d'un tratto cupo; un signore attempato
prese il suo posto, ripetendo la stessa operazione, e così via tutti
gli altri.
≪ Ciò
che resta è la malinconia ... ≫,
mormorò la ragazza al mio fianco.
≪ Chi
sono? ≫
domandai, lo sguardo perso nelle lettere sospese.
≪ Coloro
che in vita non hanno avuto il coraggio di confessare il proprio
amore ≫.
≪ Sono
morti? ≫.
≪ Vivono
ancora, ma l'anima che un tempo avrebbe dovuto gioire di una dolce
paura, ora muore in un frase mai pronunciata. Passiamo oltre, non è
lecito contemplare a lungo queste cose ≫.
Camminammo
vicino a quella piccola frangia di umanità senza mai voltarci, ma
quando per un fatale scherzo del destino dissolsi al mio passaggio
una lettera d'oro in cerca della sua compagna, la donna che per prima
aveva inciso nel ghiaccio la sua confessione d'amore mi guardò forse
con rancore, eppure nel libro dei suoi occhi scorsi solo una pagina
bianca.
La
strada prese a salire, al mio sguardo incantato appariva come una
linea evanescente in rotta verso mondi sconosciuti.
I
graffi delle penne sul ghiaccio mutarono in un'eco lontana, che
d'improvviso si frantumò al pari di un cristallo.
Poi
accadde, e credo tutt'ora fosse una magia. Si accesero tante piccole
stelle in Via
della Neve,
così come non ne avevo mai viste in cielo. Le anime di luce
respiravano a intermittenza, colte da fugaci riflessi d'arcobaleno.
La
ragazza camminava a pochi passi da me, sembrava sorridere del mio
stupore, ma teneva ben stretta la mia mano nella sua, quasi avesse
timore di perderla nel buio.
Quando
fummo vicini alle prime luci, mi accorsi con meraviglia di esser
stato cieco, ancora una volta: non erano astri caduti sulla terra
prima del tempo, ma piccole sculture di vetro. Vidi apparire cavalli
sospesi sulle zampe posteriori, renne, fenicotteri e ancor più
avanti slitte e bambole dai colori vivaci. Il silenzio che
accompagnava quella visione mi fece tremare.
≪ Posso
raccontarti una storia? ≫
mormorò la mia guida.
≪ Certo
≫
risposi, quasi sollevato. Quella creatura doveva leggermi nel
pensiero.
≪ Il
vetro si forgia nel fuoco, Nicolas imparò quest'arte in giovane età.
Il maestro lo ritenne sempre il suo miglior allievo, ma poco dopo
finì per odiarlo. Non si faceva mai pagare per il suo lavoro, amava
donare le sue sculture ai puri di cuore, soprattutto ai bambini.
Impoveriva ogni anno di più, lo si vedeva camminare con un sacco in
spalla ai bordi delle strade, oramai vecchio e stanco, felice nei
ricordi di un sorriso o della buona parola di uno sconosciuto ...
poi un giorno morì così come aveva vissuto, solo, ma vivo nella
mente di tutti. E pensare che nel tuo mondo c'è chi lo raffigura
come un essere magico, vestito di rosso, su una slitta trainata da
renne! - esclamò la ragazza, scuotendo il capo - No, la realtà è
molto più semplice e fantasiosa di qualsiasi meraviglia ≫.
≪ E
tutto questo? ≫
chiesi con voce fioca, mentre i riflessi del vetro mi accarezzavano
la rètina.
≪ Nicolas
pose qui le sue sculture poco prima di morire, nella vana speranza
che qualcuno potesse scorgervi bellezza. Ma come possono quelle anime
accorgersi che la vita è specchio di colori? ≫.
Giungemmo
alla sommità di Via
della Neve
accompagnati unicamente dal soffio del vento: ripresi fiato e
guardai dietro di me, li dove l'oscurità era minata da uno stormo di
fiammelle colorate. Di certo Notte non avrebbe mai potuto riporre
nelle tasche gli ultimi doni del vecchio Nicolas, e chissà perché
mi parve di sentirla imprecare per questo.
Ad
un tratto iniziò a nevicare, e la ragazza, il volto segnato da
leggeri fiocchi di bianco mi disse:≪
Dobbiamo far presto, il tuo tempo è quasi terminato ≫.
Non
ricordo quanto camminammo, ma di certo non potrò mai dimenticare la
vista che mi apparve di due case poste l'una di fronte all'altra, le
cui pareti di vetro abbracciavano la strada, si confondevano nei suoi
riflessi. Ad ogni passo scorgevo i tratti degli interni, speculari al
pari di uno specchio, e mi stupii che fossero illuminati a giorno,
che delle persone li animassero.
Rivolsi
uno sguardo alla mia guida, forse in cerca di spiegazioni, ma l'unica
risposta che ricevetti fu un cenno del capo, un invito ad osservare
con più attenzione. Trattenni il fiato, nello stomaco sentii
agitarsi orde di farfalle.
Nella
casa di destra, seduta ad un tavolino, scorsi una ragazza: tremava
visibilmente, le sue mani corsero ad adagiarsi sulle pareti di una
tazza fumante, il naso arrossato a respirarne il calore. Bevve
piccoli sorsi, e con un impercettibile movimento del capo proiettò
il suo sguardo oltre l'ampia finestra, li dove forse altri occhi la
guardavano. Nella casa gemella apparve un ragazzo dai capelli
arruffati, il volto segnato dal freddo: si tolse i guanti,
sfregandosi le mani, allentò la sciarpa sul collo, e come fosse il
solo gesto degno di importanza ricambiò lo sguardo.
Il
silenzio parve amplificarsi, mi perforava i timpani:≪
Perché? ≫
chiesi, avvertendo la malinconia farsi spazio nel mio animo.
≪ Quanto
poco ci divide? - la voce della mia guida quasi si perdeva negli
sbuffi di vento - Quanto poco ci divide? - le sue mani iniziarono a
dissolversi in nevischio - Il tuo posto è altrove ... ≫.
Nell'eco
delle sue parole avvertii che quel mondo mi sfuggiva dalle mani, che
Via
della Neve si
consumava poco a poco in minuscoli frammenti di ghiaccio: li sentii
attaccarsi alla pelle, corrompere anche l'anima.
Alle
mie spalle un vortice, le illusioni di anime perdute ...
Iniziai
a viaggiare senza accorgermene, di lontano nascevano i primi bagliori
del mondo.
Sospeso
a volare in un sorriso ...
Mi
svegliai di colpo, la fronte madida di sudore. Annuii meccanicamente,
ripetendomi che sì, mi trovavo nel mio letto, quella che vedevo era
la mia stanza, non poteva esserci alcun dubbio. Eppure le coperte
disfatte erano colme di minuscoli fiocchi di neve. Guardai la
finestra, nella vana speranza di non averla chiusa la sera prima, ma
queste sono dimenticanze alquanto irreali durante la stagione
invernale. Scossi il capo, incredulo. Mi vestii in tutta fretta e
uscii, avevo bisogno d'aria. Non mi preoccupai più di tanto: il
peggio che poteva capitare era che quel poco di neve si sciogliesse e
bagnasse le coperte, poco importava, il raffreddore mi perseguitava
da giorni.
Le
strade umide e dense di luci mi stordivano, era come se quel periodo
dell'anno portasse costantemente con sé un inspiegabile carico di
angoscia, l'inconsapevole tristezza che nasce chissà dove. Le voci
delle persone producevano suoni indistinti, che nonostante tutto
riportavano alla festa, al pranzo, ai regali ... ed io sapevo di non
essere come loro, sapevo di non aver proprio nulla da festeggiare. Un
soffio di vento mi colpì sulle gote, e un brivido mi percorse la
schiena: pensai che un buon thé avrebbe alleviato, anche se solo per
poco, il gelo che pulsava impietoso nelle tempie.
Entrai
in un bar semi vuoto e sedetti ad un tavolino: mi tolsi i guanti,
allentai la sciarpa sul collo, e notai con stupore una grande cornice
dalla quale era possibile osservare la frenesia della vita, o per
meglio dire una parete a vetro che dava direttamente sulla strada.
Uomini e donne camminavano con distrazione, mai avrebbero dato
importanza ad uno sconosciuto che comprendeva le loro pene, o forse
li compativa. Così va il mondo ...
Ad
un tratto vidi, dall'altra parte della strada, un bar del tutto
simile al mio: la stessa composizione interna, i tavolini della
stessa forma circolare, ma soprattutto un'identica parete a vetro che
baciava il marciapiede ... E poi lei. Infreddolita adagiò le mani
sulle pareti della sua tazza fumante, il naso arrossato a respirarne
il calore. Bevve piccoli sorsi, e con un impercettibile movimento del
capo proiettò il suo sguardo oltre l'ampia finestra, li dove i miei
occhi la guardavano.
Nella
sua anima lessi pagine scritte e interpretate, dense di correzioni,
alcune strappate di netto, e altre ancora da scrivere; lessi la mia
malinconia, la nostra perpetua lotta alla solitudine.
"Quanto
poco ci divide?"
pensai. Ripetei la stessa frase ad alta voce, certo che lei potesse
sentirmi, le sue labbra danzavano impercettibilmente, forse
pronunciavano il medesimo pensiero.
Senza
che me ne accorgessi schizzai fuori dal bar, incurante delle voci che
mi inseguivano: entrai nel locale opposto, portandomi dietro odore di
inverno e smog. Lei era li, sembrava aspettarmi. Mi avvicinai al suo
tavolino tremando, oh, quanto può essere dolce quella paura?
Giocherellava con uno dei suoi riccioli neri, mentre gli occhi dal
lungo taglio sembravano piccoli figli del ghiaccio.
Non
ci fu bisogno di coraggio, le parole sgorgarono dalla mia bocca come
un fiume in piena:≪
Sai, ho capito una cosa! ≫.
≪ Cosa?
≫
domandò lei con tono fermo.
≪ Che
non potrai mai essere un rimpianto ≫.
A
quella confessione la ragazza mi guardò stupita, ponendomi nelle
mani un libro che riposava tra la tazza ancora calda e la teiera:≪
Leggi le ultime righe ≫
mormorò, abbassando lo sguardo. Sfogliai le ultime pagine, e
arrivato al punto che mi aveva indicato ritrovai con stupore le mie
stesse parole, lo stesso amore ricucito in verbo. Chiusi il libro, e
lessi il titolo: Via
della Neve.
Quando
tornai a guardarla negli occhi lei sorrise, una dolce ferita che mai
potrò dimenticare.
Gianluca
Paolisso
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