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giovedì 11 dicembre 2014

Racconto inedito: "Via della Neve" - Gianluca Paolisso.

Oggi è un giorno speciale per Scusate, devo andare a leggere: per la prima volta sulla mia pagina viene pubblicato un racconto inedito. Ancora una volta, grazie a Gianluca per aver scelto il mio spazio per presentare la sua nuova creatura.Come ho già scritto ieri, questo è un racconto che parla alla "pancia", alle emozioni di chi legge. Ti cattura e ti porta per mano in una dimensione fatata, ti fa pensare a qualcosa che tutti conosciamo, abbiamo provato almeno una volta nella vita. Io mi sono sentita anche trasportata indietro nel tempo, in un film che ho visto tante volte nel corso della mia infanzia.Semplicemente, Vi auguro buona lettura.


Via della Neve

Atterrai in Via della Neve una sera di Dicembre, senza alcun preavviso.
Non ricordo con precisione come vi giunsi, ma potrei giurare di aver visto durante la caduta quell'immensa creatura che tutti noi chiamiamo Notte: si aggirava a passo lento tra i banchi di nuvole, e con le mani metteva in tasca gli ultimi bagliori del giorno. Il suo sorriso era un taglio di oscurità, i denti pianeti e costellazioni.
Il mio fondo schiena rimbalzò con un tonfo sulla superficie ghiacciata, e in completa noncuranza del suo padrone iniziò a slittare dolcemente verso chissà dove. Mi guardai indietro e sorrisi alla vista della scia azzurrognola che parte del mio corpo lasciava in ricordo al nulla dell'inverno. Continuai a scivolare senza compiere il minimo sforzo, come sospinto da decine di mani, fin quando all'orizzonte non apparvero delle casupole in legno: allora mi fermai, di certo non per mia volontà. Mi scrollai dalla giacca polvere di neve e aghi di pino, e guardai con un misto di paura e perplessità quella curiosa composizione che tanto ricordava un presepe diroccato: sì, quelle case erano di certo abbandonate, eppure dall'unica via che tagliava di netto il paese proveniva una luce calda, come di fuoco appena acceso. Di certo è un sogno, pensai.
Non più di quanto lo sia il tuo mondo. - Mi voltai di scatto, spaventato, e la vidi. D'improvviso avvertii il freddo, il tremore che ne consegue. Non poteva essere vero - Alla fine sei arrivato .
Dopo lunghi istanti di silenzio alzai lo sguardo: la ragazza a pochi passi da me sorrideva, una dolce ferita che mai potrò dimenticare. Giocherellava con uno dei suoi riccioli neri, mentre gli occhi dal lungo taglio sembravano piccoli figli del ghiaccio.
Tu sei ... ? .
Chi sono io non importa - rispose la ragazza con tono fermo - Conta ciò che vedrai, non cosa tutto questo significhi. Vieni . Quando mi prese la mano sentii che nulla oltre quel contatto avrebbe mai avuto importanza.


Non saprei dire quanto tempo fosse passato ... ricordo che superammo un imponente arco di pietra, il cui volto striato d'argento doveva di certo costituire un monito per chiunque avesse deciso di oltrepassare i suoi confini.
Respirai a pieni polmoni, l'aria fredda si spezzava in lame nel mio petto, eppure tutt'intorno alle casupole di legno aleggiava quella luce ambrata, tenera illusione di calore.
Come si chiama questo paese? chiesi alla mia guida, mentre dense nuvolette di vapore fuoriuscivano dalla bocca.
Un paese? esclamò la ragazza, stupita. Ma questo non è un paese! .
Forse mi son lasciato ingannare dalle case abbandonate ... mormorai, intimidito.
Sei in Via della Neve, e quelle case non sono affatto abbandonate. Guarda .
Mi indicò un punto di fronte a noi, e ancora una volta rimasi sorpreso dalla mia cecità. Nella nebbia un folto gruppo di persone si accalcava ai bordi della strada, cercando di accaparrarsi il più piccolo spazio utile nel raggio di pochi metri: sembrava che tutti volessero guardare, sostare nello stesso punto, di certo non dissimile dagli altri.
Ad un tratto una donna tirò fuori dalla tasca una penna stilografica, e facendosi scudo con il braccio destro iniziò a graffiare la superficie ghiacciata distante pochi centimetri. Il suo volto contratto tradiva il timore che qualcuno potesse violare il suo pensiero appena nato. Diede un ultimo gesto di penna, come a voler mettere il punto, e sorridendo osservò scie di lettere dorate ricomporsi magicamente nell'aria, a formare una dolce frase d'amore, che scomparve poco dopo nella luce ambrata che tutto avvolgeva. La donna si scansò, lo sguardo d'un tratto cupo; un signore attempato prese il suo posto, ripetendo la stessa operazione, e così via tutti gli altri.
Ciò che resta è la malinconia ... , mormorò la ragazza al mio fianco.
Chi sono? domandai, lo sguardo perso nelle lettere sospese.
Coloro che in vita non hanno avuto il coraggio di confessare il proprio amore .
Sono morti? .
Vivono ancora, ma l'anima che un tempo avrebbe dovuto gioire di una dolce paura, ora muore in un frase mai pronunciata. Passiamo oltre, non è lecito contemplare a lungo queste cose .
Camminammo vicino a quella piccola frangia di umanità senza mai voltarci, ma quando per un fatale scherzo del destino dissolsi al mio passaggio una lettera d'oro in cerca della sua compagna, la donna che per prima aveva inciso nel ghiaccio la sua confessione d'amore mi guardò forse con rancore, eppure nel libro dei suoi occhi scorsi solo una pagina bianca.


La strada prese a salire, al mio sguardo incantato appariva come una linea evanescente in rotta verso mondi sconosciuti.
I graffi delle penne sul ghiaccio mutarono in un'eco lontana, che d'improvviso si frantumò al pari di un cristallo.
Poi accadde, e credo tutt'ora fosse una magia. Si accesero tante piccole stelle in Via della Neve, così come non ne avevo mai viste in cielo. Le anime di luce respiravano a intermittenza, colte da fugaci riflessi d'arcobaleno.
La ragazza camminava a pochi passi da me, sembrava sorridere del mio stupore, ma teneva ben stretta la mia mano nella sua, quasi avesse timore di perderla nel buio.
Quando fummo vicini alle prime luci, mi accorsi con meraviglia di esser stato cieco, ancora una volta: non erano astri caduti sulla terra prima del tempo, ma piccole sculture di vetro. Vidi apparire cavalli sospesi sulle zampe posteriori, renne, fenicotteri e ancor più avanti slitte e bambole dai colori vivaci. Il silenzio che accompagnava quella visione mi fece tremare.
Posso raccontarti una storia? mormorò la mia guida.
Certo risposi, quasi sollevato. Quella creatura doveva leggermi nel pensiero.
Il vetro si forgia nel fuoco, Nicolas imparò quest'arte in giovane età. Il maestro lo ritenne sempre il suo miglior allievo, ma poco dopo finì per odiarlo. Non si faceva mai pagare per il suo lavoro, amava donare le sue sculture ai puri di cuore, soprattutto ai bambini. Impoveriva ogni anno di più, lo si vedeva camminare con un sacco in spalla ai bordi delle strade, oramai vecchio e stanco, felice nei ricordi di un sorriso o della buona parola di uno sconosciuto ... poi un giorno morì così come aveva vissuto, solo, ma vivo nella mente di tutti. E pensare che nel tuo mondo c'è chi lo raffigura come un essere magico, vestito di rosso, su una slitta trainata da renne! - esclamò la ragazza, scuotendo il capo - No, la realtà è molto più semplice e fantasiosa di qualsiasi meraviglia .
E tutto questo? chiesi con voce fioca, mentre i riflessi del vetro mi accarezzavano la rètina.
Nicolas pose qui le sue sculture poco prima di morire, nella vana speranza che qualcuno potesse scorgervi bellezza. Ma come possono quelle anime accorgersi che la vita è specchio di colori? .


Giungemmo alla sommità di Via della Neve accompagnati unicamente dal soffio del vento: ripresi fiato e guardai dietro di me, li dove l'oscurità era minata da uno stormo di fiammelle colorate. Di certo Notte non avrebbe mai potuto riporre nelle tasche gli ultimi doni del vecchio Nicolas, e chissà perché mi parve di sentirla imprecare per questo.
Ad un tratto iniziò a nevicare, e la ragazza, il volto segnato da leggeri fiocchi di bianco mi disse: Dobbiamo far presto, il tuo tempo è quasi terminato .
Non ricordo quanto camminammo, ma di certo non potrò mai dimenticare la vista che mi apparve di due case poste l'una di fronte all'altra, le cui pareti di vetro abbracciavano la strada, si confondevano nei suoi riflessi. Ad ogni passo scorgevo i tratti degli interni, speculari al pari di uno specchio, e mi stupii che fossero illuminati a giorno, che delle persone li animassero.
Rivolsi uno sguardo alla mia guida, forse in cerca di spiegazioni, ma l'unica risposta che ricevetti fu un cenno del capo, un invito ad osservare con più attenzione. Trattenni il fiato, nello stomaco sentii agitarsi orde di farfalle.
Nella casa di destra, seduta ad un tavolino, scorsi una ragazza: tremava visibilmente, le sue mani corsero ad adagiarsi sulle pareti di una tazza fumante, il naso arrossato a respirarne il calore. Bevve piccoli sorsi, e con un impercettibile movimento del capo proiettò il suo sguardo oltre l'ampia finestra, li dove forse altri occhi la guardavano. Nella casa gemella apparve un ragazzo dai capelli arruffati, il volto segnato dal freddo: si tolse i guanti, sfregandosi le mani, allentò la sciarpa sul collo, e come fosse il solo gesto degno di importanza ricambiò lo sguardo.
Il silenzio parve amplificarsi, mi perforava i timpani: Perché? chiesi, avvertendo la malinconia farsi spazio nel mio animo.
Quanto poco ci divide? - la voce della mia guida quasi si perdeva negli sbuffi di vento - Quanto poco ci divide? - le sue mani iniziarono a dissolversi in nevischio - Il tuo posto è altrove ... .
Nell'eco delle sue parole avvertii che quel mondo mi sfuggiva dalle mani, che Via della Neve si consumava poco a poco in minuscoli frammenti di ghiaccio: li sentii attaccarsi alla pelle, corrompere anche l'anima.
Alle mie spalle un vortice, le illusioni di anime perdute ...
Iniziai a viaggiare senza accorgermene, di lontano nascevano i primi bagliori del mondo.
Sospeso a volare in un sorriso ...


Mi svegliai di colpo, la fronte madida di sudore. Annuii meccanicamente, ripetendomi che sì, mi trovavo nel mio letto, quella che vedevo era la mia stanza, non poteva esserci alcun dubbio. Eppure le coperte disfatte erano colme di minuscoli fiocchi di neve. Guardai la finestra, nella vana speranza di non averla chiusa la sera prima, ma queste sono dimenticanze alquanto irreali durante la stagione invernale. Scossi il capo, incredulo. Mi vestii in tutta fretta e uscii, avevo bisogno d'aria. Non mi preoccupai più di tanto: il peggio che poteva capitare era che quel poco di neve si sciogliesse e bagnasse le coperte, poco importava, il raffreddore mi perseguitava da giorni.
Le strade umide e dense di luci mi stordivano, era come se quel periodo dell'anno portasse costantemente con sé un inspiegabile carico di angoscia, l'inconsapevole tristezza che nasce chissà dove. Le voci delle persone producevano suoni indistinti, che nonostante tutto riportavano alla festa, al pranzo, ai regali ... ed io sapevo di non essere come loro, sapevo di non aver proprio nulla da festeggiare. Un soffio di vento mi colpì sulle gote, e un brivido mi percorse la schiena: pensai che un buon thé avrebbe alleviato, anche se solo per poco, il gelo che pulsava impietoso nelle tempie.
Entrai in un bar semi vuoto e sedetti ad un tavolino: mi tolsi i guanti, allentai la sciarpa sul collo, e notai con stupore una grande cornice dalla quale era possibile osservare la frenesia della vita, o per meglio dire una parete a vetro che dava direttamente sulla strada. Uomini e donne camminavano con distrazione, mai avrebbero dato importanza ad uno sconosciuto che comprendeva le loro pene, o forse li compativa. Così va il mondo ...
Ad un tratto vidi, dall'altra parte della strada, un bar del tutto simile al mio: la stessa composizione interna, i tavolini della stessa forma circolare, ma soprattutto un'identica parete a vetro che baciava il marciapiede ... E poi lei. Infreddolita adagiò le mani sulle pareti della sua tazza fumante, il naso arrossato a respirarne il calore. Bevve piccoli sorsi, e con un impercettibile movimento del capo proiettò il suo sguardo oltre l'ampia finestra, li dove i miei occhi la guardavano.
Nella sua anima lessi pagine scritte e interpretate, dense di correzioni, alcune strappate di netto, e altre ancora da scrivere; lessi la mia malinconia, la nostra perpetua lotta alla solitudine.
"Quanto poco ci divide?" pensai. Ripetei la stessa frase ad alta voce, certo che lei potesse sentirmi, le sue labbra danzavano impercettibilmente, forse pronunciavano il medesimo pensiero.
Senza che me ne accorgessi schizzai fuori dal bar, incurante delle voci che mi inseguivano: entrai nel locale opposto, portandomi dietro odore di inverno e smog. Lei era li, sembrava aspettarmi. Mi avvicinai al suo tavolino tremando, oh, quanto può essere dolce quella paura? Giocherellava con uno dei suoi riccioli neri, mentre gli occhi dal lungo taglio sembravano piccoli figli del ghiaccio.
Non ci fu bisogno di coraggio, le parole sgorgarono dalla mia bocca come un fiume in piena: Sai, ho capito una cosa! .
Cosa? domandò lei con tono fermo.
Che non potrai mai essere un rimpianto .
A quella confessione la ragazza mi guardò stupita, ponendomi nelle mani un libro che riposava tra la tazza ancora calda e la teiera: Leggi le ultime righe mormorò, abbassando lo sguardo. Sfogliai le ultime pagine, e arrivato al punto che mi aveva indicato ritrovai con stupore le mie stesse parole, lo stesso amore ricucito in verbo. Chiusi il libro, e lessi il titolo: Via della Neve.
Quando tornai a guardarla negli occhi lei sorrise, una dolce ferita che mai potrò dimenticare.




Gianluca Paolisso


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