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venerdì 23 maggio 2014

A proposito di.. "Villette" - Charlotte Brontë

TRAMA (da Amazon.it): Quando Lucy Snowe ottiene il posto di istitutrice in un collegio femminile in Belgio, per la prima volta la fortuna sembra sorriderle. Orfana e indigente, timida e sgraziata, per la ragazza quel trasferimento oltremanica è l'occasione per lasciarsi i grigi sobborghi inglesi alle spalle e ricominciare da zero. Ma iniziare una nuova vita non è un'impresa da poco: arrivata a Villette - città immaginaria plasmata da Charlotte Brontë sul modello di Bruxelles -, in un ambiente che le è estraneo, senza parenti né amici, Lucy ci mette del tempo a superare l'iniziale spaesamento e a prendere in mano le redini della propria esistenza. Grazie alla propria forza di carattere, la giovane riesce a guadagnarsi la stima dell'autoritaria direttrice del collegio, Madame Beck, e a entrare in confidenza con suo cugino, il professor Paul Emanuel, un uomo gentile e brillante ma poco portato per la vita mondana a causa del suo temperamento focoso. E proprio nel momento in cui tra i due sembra essere scoccala la scintilla di un'intensa e tormentata storia d'amore, irrompe; sulla scena John Bretton, affascinante amico d'inlanzia di Lucy, che costringerà la ragazza a fare i conti con i dubbi e le scelte che s'impongono a ciascuno di noi quando cerca il proprio posto nel mondo.

Come ho avuto modo di dire più volte, mi trovo sempre in difficoltà quando scelgo di scrivere a proposito di un classico. Soprattutto quando il suddetto classico mi è piaciuto tantissimo.

Sul retro dell'edizione curata dalla Fazi, l'unica disponibile in Italia (credo), si legge che Villette è il miglior libro della  Brontë, superiore a Jane Eyre. 
Effettivamente, a freddo, è così. Pubblicato sei anni dopo Jane Eyre, Villette appare in un certo senso come un testo più completo, forse anche perché è maggiormente autobiografico.
Lucy Snow, la protagonista, ha parecchio in comune con Jane, come del resto anche Paul Emanuel non è tanto distante da Rochester. Eppure, entrambi i personaggi paiono più maturi, meglio delineati.
Di Lucy non sappiamo niente: la storia è raccontata in prima persona, e Lucy è parecchio avara di informazioni su di sé. Vediamo tutto attraverso i suoi occhi: la pacatezza, il tentativo di resistere alla passione - ci sono passaggi che esprimono una fortissima sensualità trattenuta - il conflitto tra Ragione e Sentimento, che talvolta appaiono personificati. Anche il ritmo del racconto si modifica a seconda dei pensieri di Lucy: più pacato adesso, incalzante e concitato poco oltre.
Rispetto a Jane, Lucy è una creatura più nervosa, più fragile, sempre intenta a cercare di dominarsi. Come Jane, invece, sogna di affermarsi, di mantenersi da sé, di essere artefice del proprio destino. Il finale del romanzo è molto triste, la libraia mi aveva avvisata: "non chiude benissimo". Eppure l'ho apprezzato ugualmente, perché se Jane si riscatterà dalle umili origini, e continuerà a lavorare insieme al marito, Lucy ha la possibilità di arrivare fino in fondo ai propri progetti, di dimostrare a sé stessa e agli altri - malgrado un grande dolore - che può cavarsela da sola. Anzi: che una donna, da sola, in un paese straniero, a metà del XIX secolo, può cavarsela da sola.

La riflessione è più ampia, in Villette che non in Jane Eyre. Si parla anche di religione, di differenze tra il cattolicesimo e il culto protestante: l'ho trovato affascinante e interessante, un bel documento storico.

Anche in Villette, come in Jane, c'è un mistero: in Jane era la risata della moglie pazza, qui è - forse - il fantasma di una monaca. Tuttavia, questa volta la furia del Romanticismo, la lotta tra i sentimenti sono più interiorizzati nel personaggio, meno "fuori". Immutata rimane, invece, la rappresentazione della natura come "specchio" dei sentimenti dell'eroina. Meraviglioso.

Unico neo, o almeno, a me pare tale, di Villette: è veramente molto lungo,e in alcuni punti risulta un pochino pesante. Jane Eyre, essendo più breve, è sicuramente più incisivo e affascinante. 

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