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L’Enrico de Il borgo vertiginoso ha qualcosa in comune con Giorgio de Il passato è una terra straniera, e se vogliamo anche con il primo Guerrieri. Insomma, la trama di questo Carofiglio è un po’ meno “nuova” ed è, come per tutti i romanzi in cui non è protagonista Guerrieri, abbastanza esile. C’è lui, che non è né carne né pesce, e poi c’è quello che lo tira dalla sua parte, mentre lui nemmeno capisce bene cosa ci sia, da quella parte. Anzi, quando comincia a capirlo non gli piace, ma sta lì. E si ribella solo quando viene toccato nel suo intimo, altrimenti, probabilmente, andrebbe avanti così. Una storia di media vigliaccheria, o di ordinario egoismo. Di cui tutti, prima o poi, ci siamo macchiati. Sì, perché Carofiglio è Autore nel senso pieno del termine, cioè “colui che accresce”. E cosa, accresce? Accresce la vita. La nostra, di noi che leggiamo i suoi libri. Perché il suo modo inimitabile di scendere nei particolari, nel descrivere le sensazioni, con quella ironia inconfondibile, sua, ci fa aprire gli occhi su cose che sapevamo, ma non volevamo dirci.
Un suo romanzo lo si riconosce dalle prime righe perché non solo scrive (molto) bene, ma ha stile, una cosa abbastanza rara nel panorama della letteratura italiana contemporanea. Con il suo stile, con le sue parole, Carofiglio ci prende e ci caccia a forza dentro la nostra vita attraverso quella dei suoi personaggi.
E allora si che “dopo l’ultima pagina il romanzo finisce”, e noi auguriamo tutto il meglio a Enrico, a Giorgio, e a Guido. Quello che sogniamo per noi.
(Post pubblicato, in origine, qui)