venerdì 30 novembre 2012
Il tempo tagliato–Silvia Longo
Ho letto questo libro due volte, nel giro di una settimana, dopo averne letto la presentazione sul blog di HP. Due volte perché… è un libro da leggere, da assaporare lentamente. La storia raccontata è semplice: non scontata e non banale, ma semplice. Il punto di forza di questo libro è un altro: è il modo in cui è scritto, la purezza della sua prosa, la forza evocativa di certe immagini. Non credo che riuscirò a costruire una recensione obiettiva di questo romanzo: mi ha rapita troppo, è a tutti gli effetti il più bello letto nel 2012.
“Mi sono sempre adeguata”
Questo è il punto di partenza della storia di Viola, la frase che ieri sera ho evidenziato sul Kindle aggiungendo una nota.. “parti da qui”. Eh sì, l’ho riletto sottolineando, annotando. Potrei scrivere pagine e pagine, mi trattengo, faccio la brava.
Viola si è sempre adeguata, è sempre rimasta un passo dietro al marito ricco e famoso. Una forma di amore, la sua: fare in modo che nessuno, né lui, né la figlia, soffrano: solo lei può soffrire, soffocata nella morsa di un’esistenza lussuosa, troppo lussuosa.
… “Quante frasi garbate da costruire, quante arterie flessuose fanno di noi persone rispettabili? E come splendere quando tutto intorno è opaco?”
Ecco, questo è la storia di Viola. Stare al passo, occuparsi di tutto e di tutti, soffocare il suo dolore, il suo sentirsi incompresa. Le sue opinioni, i suoi gusti musicali. Era sempre il marito – direttore d’orchestra – a scegliere la musica: era lui l’esperto, perché contraddirlo? Mi sono identificata facilmente, in Viola. Quel senso del dovere schiacciante, quel senso onnipresente di inadeguatezza, di insufficienza. Sentirsi in colpa per tutto, anche per non essere riuscita ad amare fino in fondo il marito, e una gioia segreta per essere riuscita a fingere per anni. Lei si sente in colpa “per tutto. Se si rompe un bicchiere, se dormo troppo (…) Se il treno che aspettiamo è in ritardo (…) Se la lavastoviglie lascia i bicchieri opachi, se in quella chiesa non c’è una buona acustica. Se il parrucchiere mi sbaglia la piega, se mi ammalo, se invecchio.” In colpa per non essere stata accanto al marito quell’ultima sera, in colpa per aver desiderato una vita senza di lui.
Ti identifichi anche con la figlia di Viola, Vicky. Senti il suo dolore sotto la pelle. Senti davvero quello che ha provato a preparare le valigie, prendere quel treno per correre a casa, dopo che le era stato detto che il suo papà non c’era più. Me la immagino mentre guarda correre i binari dal finestrino, mentre sa che indietro non si può tornare più, che non può cambiare niente…Anche se c’è il suo ragazzo accanto a lei, sperimenta per la prima volta la solitudine, il bozzolo di silenzio in cui ti chiude quel dolore sordo, ché neanche piangere ti salva.
E Mauro, l’uomo che “salva” Viola? Cresciuto con una madre bipolare, una famiglia che ha scelto di abbandonare… dolce e premuroso, riesce a far tirar fuori a Viola una confessione che le spalanca le porte di un’altra vita. E personalmente sono grata all’autrice per quel bacio evitato, per lasciarci scegliere da soli come continua questa storia, per aver scritto che “Ciò che mi appartiene si trova qui, e succede ora”.
é un libro da leggere davvero non per la storia che racconta ma per COME la racconta. Quest’autrice è davvero una rivelazione, e questo libro è perfetto. Perfetto nel descrivere, nel farci percepire. La crisi isterica di Viola sotto la pioggia davanti all’autogrill: da donna, la senti nel cuore e nei nervi. Il dolore di lei nel trovarsi nella casa vuota. “La morte è viva: la mia mente si ostina su questo ossimoro. Leggo la morte in un volto pallido, la sorprendo nel vuoto di un paio di pantaloni troppo larghi sul dietro, la ascolto nel canto di certi uccelli che non passeranno l’inverno”
Il mio passaggio preferito… Viola e Mauro all’autogrill, col temporale fuori e le previsioni meteo alla televisione. E intanto Viola immagina…
“La gente si chiude in casa a doppia mandata, infila i vestiti bagnati nella lavatrice, si asciuga i capelli e indossa il cardigan preferito, quello morbido con le maniche sformate che arrivano a coprire le dita”.
(post pubblicato, in origine, qui)
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9 commenti:
oh che bello Giulia, non vedo l'ora di leggerlo...
è straordinario come tu possa avere colto così acutamente le sensazioni di una donna così lontana da te, per età ed esperienza.
Grazie, Zia! leggilo, merita davvero.
La tua recensione mi incuriosisce... non so quando potrò leggerlo, ho tantissimi libri da dover sfogliare prima di approdare a questo!
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Bellissimo racconto, Giulia. Si vede che hai letto il libro una seconda volta.
Hai saputo cogliere sfumature, godere appieno dei dettagli che solo in una seconda lettura affiorano. Perchè non hai più l'urgenza di sapere, di capire cosa succederà nel prossimo capitolo. E puoi assaporare ogni parola, ogni emozione, ogni immagine resa viva da Silvia.
Condivido ogni frase della tua recensione. Compresa - soprattutto - la gratitudine per quel finale non raccontato, ultimo tocco di raffinato gusto. Ognuno può immaginarlo. Ma Viola forse non avrebbe voluto che si raccontasse. E Silvia lo sa.
Sono contento che ti sia piaciuto così tanto il libro che avevo segnalato.
A presto,
HP
Ne vale davvero la pena!
Grazie per averlo segnalato!
Sì, Viola vi è grata per averla compresa:-)
Un carissimo saluto a tutti. E grazie!
silvia
This book resonated with me because it explores the complexities of self-discovery and finding one's voice.
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