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domenica 24 aprile 2016

Recensione di "Le anime bianche" di F. H. Burnett

Fonte: http://panesiedizioni.it/wp-content/uploads/
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Sinossi (da Amazon): Ysobel è una ragazzina timida e minuta che non ha mai conosciuto i genitori e vive, assieme ai tutori Jean Braidfute e Angus Macayre, in un castello dall’aspetto austero immerso nella desolata brughiera scozzese. Fin dall’infanzia, la bambina mostra di essere dotata di un particolare “dono” che la rende diversa da tutti gli altri bambini; ella ha il “potere di vedere oltre le cose” e di entrare in contatto con le anime dei defunti, ormai libere dalle sofferenze e dalle paure dell’esistenza. 

Come tutti i bambini - lettori, ho amato Il giardino segreto, Il piccolo Lord e La piccola principessa.
Quando ho saputo della traduzione italiana de Le anime bianche mi sono precipitata ad acquistarla.
Si tratta di un racconto lungo, o romanzo breve, nel quale l'autrice esprime le sue convinzioni su ciò che ci attende dopo la morte: al Burnett ha qui cercato di elaborare il lutto per la perdita di suo figlio, facendo emergere una visione della vita affascinante e consolatoria.
Ci sono parecchi punti di contatto tra Le anime bianche e Il giardino segreto: Ysobel è, come Mary, cresciuta nell'isolamento, e la brughiera è una presenza importante, incombente. Se però per Mary era un elemento di disturbo, per Ysobel è quasi una compagnia. E' lì che può succedere di tutto, ed è sicuramente grazie a questo ambiente così magico che Ysobel sviluppa la sua capacità di vedere le anime bianche, capacità che la aiuterà a sopportare con coraggio il dolore per la perdita di chi ama.

E' opera vicina al romanzo gotico, che non racconta ma fa trasparire e percepire la magia. Non perdetevela!

sabato 23 aprile 2016

Recensione de I fantasmi di pietra di Mauro Corona

Sinossi (da qlibri): Un paese abbandonato, silenzioso, fermato in un'istantanea scattata il giorno 9 ottobre 1963, quando il fianco del monte precipitò nell'invaso del Vajont. Eppure quelle case, quelle cucine, quelle stalle sono ancora abitate. E' una popolazione di fantasmi quella che Corona suscita ripercorrendo, casa per casa, le strade che un tempo risuonavano di voci, del rumore degli strumenti di lavoro, della vita di ogni giorno.

Sono tempi difficili questi, per le letture. Tra il lavoro, le lezioni di italiano, e la terribile scoperta che i pavimenti non sono autopulenti e i vestiti autostiranti, mi resta poco tempo per leggere. Ma non rinuncio, e non ci sono momenti più belli di quelli che dedico a un buon libro. Ed è il caso di I fantasmi di pietra.
Di norma mi innervosisco, quando un libro - corto, per giunta - mi dura quasi un mese. Questa volta non è accaduto, anzi. Sarei potuta andare avanti per un anno, a leggere due paginette de I fantasmi di pietra. Perché scorre lento, come le stagioni a Erto. Avrei voluto leggerne un episodio al giorno, per non sentirmi sola una volta giunta alla fine di questo viaggio meraviglioso. Un viaggio nel silenzio, nell'abbandono.
Di casa in casa, attraversiamo Erto vecchia, respirando l´odore di chi lì dentro ha vissuto. Il silenzio della tragedia è sempre lì, non ci abbandona mai. Piccoli spunti polemici non mancano, ma Corona qui è soprattutto nostalgico. E la nostalgia per un paradiso perduto, lo sappiamo, è incolmabile.
Corona ci racconta storie che sono a metà tra realtà e leggenda, che avremmo potuto udire dai nostri nonni. Forse è per questo che a tratti mi sarebbe piaciuto che fosse un audiolibro.
Corona si autocita, e mi ha fatto venire voglia di leggere altro, di perdermi di nuovo in questa atmosfera di sogno.
Li scrive lui, non li scrive lui. È un alcolista, non lo è. Ma chissenefrega. Quando c'è la magia della narrazione c'è tutto.

sabato 20 febbraio 2016

Lo scrittore fantasma - Philip Roth


Da qlibri: Una casa isolata sulle colline innevate del New England. Un grande scrittore, Lonoff, e il suo giovane ammiratore, Zuckerman. Tra di loro la presenza misteriosa di una ragazza che tutti credono morta nell'Olocausto. Le «pretese» della vita e le esigenze dell'arte in uno dei romanzi fondamentali di Roth.

Lo scrittore fantasma, regalatomi da un amico, è stato il mio primo Roth. Ascoltando chi sostiene che l'unico suo vero capolavoro sia Pastorale americana, con buona pace dei suoi estimatori, credo che prima o poi nella mia vita prenderò in mano la Pastorale, ma non posso dire che Lo scrittore fantasma abbia acceso in me la passione per lo scrittore americano.

Non posso dire che non mi sia piaciuto, ma non posso neanche - purtroppo - affermare il contrario. Parte lentamente e il meglio si ha nella parte centrale e in quella finale. Ho sottolineato tanto e inseguito parecchi spunti di riflessioni, sul tema della scrittura e sulla nostra "ricezione" degli ebrei e sulla necessità - da parte di questi - di curare la loro immagine, perché le azioni del singolo diventano automaticamente un qualcosa che caratterizza, con le dovute virgolette, la "razza". 
Super affascinante il personaggio di Amy e l'ipotesi su Anna Frank: ecco, lì sì che sono rimasta attaccata alla pagina.
Però... ho avuto l'impressione di aver letto un qualcosa di "troppo" psicologico. E soprattutto di "troppo" spiegato. Mi è parso che ci fosse poco spazio per la riflessione autonoma, che fosse tutto lì, sulla carta.

O magari non ho capito niente, e semplicemente non è la lettura per me. Chi lo sa...

mercoledì 17 febbraio 2016

Su LEGGERE A COLORI: Recensione di "Armadale", di Wilkie Collins


Due uomini che, pur non essendo parenti, portano lo stesso nome. Le colpe dei loro padri che gravano su di loro. Una donna bellissima e malvagia, con un passato misterioso, che viene a sapere della coincidenza e vorrebbe sfruttarla a suo vantaggio.
Questi, più la forza dell'amicizia, sono gli ingredienti di Armadale, da Eliot definito come Il migliore dei romanzi di Collins....

domenica 14 febbraio 2016

Recensione "Le ceneri di Angela" di Frank McCourt


Sinossi (da qlibri): Siamo negli anni fra le due guerre e le travagliate vicende coinvolgono una famiglia così misera che può guardare dal basso la povertà, fra un padre perennemente ebbro e vociferante contro il mondo, gli inglesi e i protestanti, e una madre che sbrigativamente trascina la sua tribù verso la sopravvivenza. Tutto ci arriva attraverso gli occhi e la voce del protagonista mentre vive le sue avventure. Questo ragazzino indistruttibile, sfrontato, refrattario a ogni sentimentalismo, implacabile osservatore crea con le sue parole un prodigio di comicità e vitalità contagiose, dove tutte le atrocità diventano episodi e apparizioni di un viaggio battuto dal vento verso la terra promessa.



Il romanzo è famosissimo e non ha bisogno di presentazioni. Io sono arrivata decisamente tardi a questa lettura, e se non fosse stato per un'offerta Kindle non credo l'avrei comprato e letto. 
Non mi attirava, come spesso non mi attirano i libri che tutti amano e decantano. Perché si creano aspettative troppo alte. Perché si legge alla ricerca di qualcosa di straordinario. Che, per quanto mi riguarda, in questo caso non c'è.

Non fraintendetemi. Mi è piaciuto tanto e sono contenta di essermi fermata a leggerlo. è una testimonianza unica di condizioni di vita terribili, di una miseria che - nonostante il romanzo - non possiamo nemmeno immaginare. L'ironia pungente evita il patetismo, e mi sono ritrovata a sorridere spesso, ma non mi sono commossa quasi mai. Mi sono invece indignata spesso: con il papà di Frank, che però ogni tanto avrei voluto abbracciare, con la mamma di Angela, con Angela stessa, e soprattutto con la società dell'epoca. E con i preti, sì. Con chi predica la povertà e la carità ma fugge di fronte alla vera miseria. Ho detestato i limiti di un'educazione quasi inesistente, e la pratica diffusa di inculcare in un bambino sensi di colpa assurdi. Ho evidenziato tanto e ho apprezzato tantissimo lo stile di McCourt, mai sciatto ma sempre curato. La storia ci arriva attraverso gli occhi e la voce di Frank bambino, però è "contaminata" da quella del Frank adulto: per me è un valore aggiunto.
C'è tanta tenerezza e tanta indulgenza, per quel bambino coraggioso costretto a diventare adulto troppo in fretta. 

Però non l'ho trovato così straordinario. In alcuni punti mi sono anche un po' annoiata e l'ho trovato troppo lungo.
Non credo che continuerò la lettura della trilogia. 

venerdì 22 gennaio 2016

Recensione di "Eppure, me lo avevano detto!" di Roberta Castelli

Immagine presa da qui
SINOSSI (da Amazon): In un’estate come tante incontrai l’Iscariota. Il tempo mi ha purtroppo regalato la consapevolezza che quell’essere aveva venduto l’anima al diavolo, rubando senza scrupoli anche la mia. Questa è la storia che ognuno di voi avrebbe potuto vivere, fatta di alti e bassi, di gioia e disperazione, di smarrimento e redenzione. Gli orpelli vengono relegati alla società, talvolta sterile e preconfezionata, di cui si è figli. L’amore è inteso quasi in maniera shakespeariana: incondizionato, totalizzante e a volte anche tragico. Le parole sono scandite dai colori di struggente vita reale che suscitano numerose interpretazioni e supposizioni. L’intreccio tra onirico, desiderio, speranza e coraggio diventano i piloni fondamentali per arginare una forma mentis siciliana chiusa e retrograda, per delimitare la cattiveria umana che non conosce confini geografici e per dissuadere l’inesorabile dolore frutto della mancanza, emozionale e fisica. I personaggi del mio racconto sono istantanee, non digitali. Alcuni meriterebbero di essere relegati nell’oblio piuttosto che donare loro luce e visibilità, altre invece sono da assurgere a modello di vita. Resta a voi capire da chi farsi ispirare.

Ho letto questo libro un po' per caso, in un pomeriggio nel corso del quale ho sentito la necessità di allontanarmi un attimo dal pessimismo di Hardy.
L'autrice cura un blog che un annetto fa seguivo abbastanza e dal quale mi ero in seguito allontanata perché la sua percezione negativa della Germania mi creava ansia nel periodo per me delicatissimo dell'inserimento nel Paese che diventa, ogni giorno di più, la mia casa. Sono venuta a sapere - attraverso un'intervista all'autrice apparsa su un altro blog - dell'esistenza di Eppure, me l'avevano detto! e ho deciso di leggerlo, perché sono da sempre interessata al sempre più diffuso passaggio "da blog a libro"..
Passaggio che secondo me non tutti dovrebbero compiere: non tutti siamo capaci di raccontare o raccontarci nella forma del "romanzo", che è estremamente diversa da quella del blog. E non tutti abbiamo qualcosa di interessante da raccontare. 

In Eppure, me l'avevano detto!, Roberta si racconta. Racconta velocemente la sua infanzia, la sua adolescenza, le sue "prime volte" , e poi la sua vita di donna adulta e di madre, madre di una figlia nata da una relazione che definire complicata è dire poco. Ecco, sarebbe stato bello se Roberta si fosse concentrata su questa fase della sua vita, che definire difficile e dolorosa è riduttivo. Roberta viene letteralmente truffata per anni dal suo compagno, dal quale però non riesce a staccarsi.
Avrei apprezzato un tentativo si svisceramento di certe dinamiche, che sono sempre complesse e sfaccettate, e sulle quali non si dirà mai abbastanza. Invece viene dato, secondo me, troppo poco spazio ai sentimenti, alle sensazioni e all'analisi di questi. La narrazione procede veloce, indugiando in racconti e descrizioni di momenti e avvenimenti che per Roberta sono stati probabilmente importanti - penso alle prime esperienze sessuali, ad esempio, o alle ubriacature con gli amici - ma che al lettore, secondo il mio personalissimo parere, non interessano. A meno di non conoscere personalmente l'autrice.
Grande importanza riveste, in tutto il libro, il tema dell'amicizia, e questo sì che è trattato bene, lasciando agli avvenimenti il compito di descrivere le sensazioni. Verso la fine ho pianto.

Quello che proprio non va, secondo me, è la scrittura. Alcune frasi relative non stanno in piedi, nel senso grammaticale del termine, in un caso ho trovato una parola usata clamorosamente nel contesto sbagliato, e anche l'uso della forma comparativa è spesso particolare. Come ho già avuto occasione di scrivere, oggi tutti possono pubblicare. Però... se anche i grandi autori hanno bisogno dell'editor, significa che un bel lavoro di revisione serve anche ai comuni mortali.

giovedì 21 gennaio 2016

Recensione di Tess dei d'Urberville - Thomas Hardy

Oltre all'anno dei "libri belli", vorrei che il 2016 fosse l'anno in cui colmo un po' di lacune, in cui leggo finalmente i libri che ho da tanto in "lista".
So già che non sarà così, visto che sono abituata a scegliere un libro "a sensazione". Finisco un romanzo e scelgo la lettura successiva osservando la libreria o affidandomi alle emozioni che i vari incipit mi suscitano.

Per quando riguarda la letteratura inglese, ammetto candidamente la mia ignoranza. Ho letto poco e solo Jane Eyre mi ha dato emozioni simili a quelle che mi regala, per esempio, Maupassant. Non so tra le amanti della Austen, devo ammetterlo.

Di Hardy ho letto Via dalla pazza folla in occasione di una lettura condivisa su un gruppo Facebook, e sull'onda dell'entusiasmo avevo scaricato anche Tess. Che altrettanto per caso ho cominciato.

Sento di dover ringraziare la mia ignoranza: non conoscevo assolutamente la trama ed è stato bellissimo sorprendermi, temere, aspettare gli sviluppi della storia. La conclusione mi ha poi lasciata senza fiato. E con tante lacrime, ovvio.

Rispetto a Via dalla pazza folla, che mi dicono essere un'eccezione nell'opera di Hardy, Tess è molto più cupo, e da metà in poi decisamente angosciante.
Ho adorato ancora una volta le descrizioni della natura, natura che è così incurante di ciò che accade all'uomo, eppure a volte sembra fare da specchio ai sentimenti di Tess e a ciò che le succede.
Detestabili le figure maschili, eppure tanto "vere". Così come veri sono i loro atteggiamenti.
Mi riferisco in particolare alla "conversione lampo" di Alec, che appena rivede Tess torna sui suoi passi, e alla conversazione tra Angel e Tess dopo le loro nozze: Hardy riesce a far sì che dalla pagina escano delle sensazioni vere, che potremmo provare anche noi o che ha provato qualcuno a noi prossimo, facendoci male.

La vicenda di Tess è in un certo senso accostabile a quella di Maggie de Il mulino sulla Floss: si parla sempre di condizione della donna, di conseguenze sociali che investono solo lei. Di distanza tra la legge della natura e quella degli uomini. E non sembra esserci speranza, come viene dimostrato anche dall'assenza di lieto fine. Che non è solo assente: è impossibile.

C'è dolore, c'è rabbia, c'è anche - purtroppo - rassegnazione, mentre si legge Hardy. C'è angoscia, mentre si aspetta la tragedia finale. La rabbia la proviamo soprattutto leggendo le parole di Alec, vedendo Tess che si sente colpevole della sua bellezza: da Adamo ed Eva in poi, è sempre la donna il diavolo tentatore, il male, colei che attira su di sé la rovina e deve espiare la colpa. Pagando per tutta la vita.

Fa quasi male, dire che mi è piaciuto. Perché una storia così straziante non dovrebbe esistere, ma se Hardy l'ha raccontata vuol dire che di storie così ne sono esistite anche troppe.