Google+

lunedì 8 dicembre 2014

Intervista all'autore: Andrea Pontiroli, "La mia musica nel silenzio"

Quattro chiacchiere con Andrea Pontiroli, autore de La mia musica nel silenzio, recensito la settimana scorsa.

All'interno di questo romanzo, la musica occupa un ruolo molto importante. Nella mia recensione l'ho lasciata un po' da parte, soprattutto per ignoranza. Vuoi parlane tu? Che rapporto hai con la musica, e soprattutto con le opere citate? 

Da quando ho iniziato a scrivere, ho sempre cercato di rendere con le parole le emozioni che la musica mi trasmette, non solo quelle positive, ma anche quel leggero senso di angoscia che sempre provo ai concerti, il timore che l'esecutore sbagli, o non entri in sintonia con il pubblico, ma anche il timore che il pubblico non rispetti la musica, e soprattutto i suoi silenzi - odio i colpi di tosse tra un movimento e un altro ;-)

Poi, ovviamente, c'è l'ammirazione per i musicisti, e la frustrazione di suonare il piano e la chitarra come un principiante...

Tommaso ha un rapporto controverso con la musica, che giunge a maturazione dopo anni di studio e sacrifici: si accorge di non poterne fare a meno quando la sua strada è già segnata. Potremmo dire che la musica è il suo modo di esprimersi, di comunicare. Xavier, invece, scopre di saper comunicare attraverso la parola scritta. Mi viene spontaneo chiederti, a questo punto, quale sia il tuo rapporto con la scrittura, cosa significhi per te scrivere.

Me lo sono chiesto tante volte anche io, senza riuscire a darmi una risposta convincente. Come Tommaso con la musica e Xavier, ma sicuramente con molto meno disciplina (e talento, ahimé) io pure ho sempre pensato che scrivere fosse per me una sorta di necessità.
Quando ero adolescente, pensavo fosse un modo per fuggire a una realtà che non corrispondeva ai miei sogni. Adesso, non lo so...


Nella mia recensione ho sottolineato la pluralità di linguaggi che riesci a padroneggiare, e soprattutto quello che caratterizza i momenti di crisi di Tommaso: leggendo le pagine del romanzo la sua ossessione, le sue difficoltà sono palpabili.
C'è un modello, dietro al tuo modo di raccontare?

Potrei risponderti che tutti i romanzi che ho amato da quando ho imparato a leggere sono stati, ciascuno a suo modo, un modello. E immagino che il mio modo di raccontare, ma anche i personaggi, siano ispirati a molti dei libri che ho letto. Credo che molto di quello che racconto, e di come lo racconto, siano ispirati in maniera inconsapevole, volutamente inconsapevole direi, ai libri e ai
personaggi che ho amato.



Ho sempre pensato che, scrivendo, mettessimo pezzetti di noi, o di persone che conosciamo e amiamo nei personaggi che creiamo. E' così anche per te? C'è un personaggio che senti "tuo" più di altri?

Questa è la domanda più difficile, nel senso che, con l'eccezione di alcuni passaggi che sono ispirati a episodi della mia vita, o di quella di persone che conosco, sono convinto che la mia vita non sia
abbastanza interessante da essere raccontata... credo, ma non ne sono sicuro, che in realtà quella che racconto è una vita, non mia, che mi affascina. Non so fino a che punto io senta "miei" Tommaso o Xavier, in parte credo avrei voluto essere come loro, in parte loro sono quello che io non sono stato, e in parte sono persone che mi piacerebbe conoscere. E c'è anche qualcos'altro. Da un lato sono
felice che altre persone, conosciute e sconosciute, stiano ora leggendo il mio libro. Dall'altro, dal momento in cui il libro è stato pubblicato, provo come un senso di abbandono, e i miei personaggi,
Tommaso e Xavier in primis, mi mancano.

Nessun commento: