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venerdì 13 dicembre 2013

Riscoprire le Piccole Donne

Complice un filmetto, trovato per caso su Sky e guardato da metà in poi, ho deciso, tra metà novembre e i primi di dicembre, di dedicarmi alla rilettura delle Piccole Donne, intendendo tutto il ciclo, comprensivo di Piccole donne, Piccole donne crescono, Piccoli Uomini, I ragazzi di Jo.
Ho cominciato così, un pomeriggio, per gioco. Leggendo Piccole donne sulla storica versione di mia mamma, e gli altri su Kindle, siccome ho scoperto, con orrore, che i miei occhi sopportano a fatica la visione dei piccoli caratteri delle mie meravigliose edizioni Giunti, in cui possiedo Piccole donne crescono e Piccoli uomini. Quanto a I ragazzi di Jo, non ne ho una versione in casa. Da bambina, probabilmente, avevo letto solo dei piccoli passaggi.

Ho ricominciato, casualmente, proprio nei giorni successivi allo scoppio dello scandalo riguardante le ragazzine dei licei romani che si prostituivano. Scherzando, ma non troppo, devo aver detto che ritenevo - parzialmente, s'intende - la scomparsa dell'usanza di leggere Piccole donne la causa della degenerazione dei costumi.
Ho quindi postato su Facebook, in un gruppo dedicato ai libri, la fatidica domanda: "Si usa ancora far leggere il ciclo delle Piccole donne?" e, con mia grande stupore, ho ottenuto parecchie risposte affermative e una sola nettamente negativa, di una persona che dichiarava che nei romanzi della Alcott le fanciulle vengono educate al solo scopo di accalappiare un uomo, e che quindi non li avrebbe mai proposti alle sue figlie. Questa signora, che non conosco, ha probabilmente letto con scarsa attenzione, e non volentieri, i romanzi; tuttavia è stata forse questa stessa obiezione a far sì che mi dedicassi alla lettura con più impegno e più attenzione rivolta verso i messaggi educativi e morali che i romanzi trasmettono.
La mia conclusione è che, sia Piccole donne sia Piccole donne crescono, sono romanzi modernissimi, capaci di regalarci insegnamenti sull'importanza di coltivare il senso del dovere, di combattere i propri difetti, l'impulsività e, soprattutto, di innamorarsi con sincerità e di essere in grado di dividere, col proprio compagno, gioie e dolori della vita matrimoniale. Anche su quest'ultimo punto, la Alcott è modernissima: Meg e John si dividono i compiti, litigano, e riescono a ritrovarsi: nessuna delle tre è educata per "accalappiare" e compiacere il proprio uomo, anzi. Tutte sono esortate a coltivare la propria personalità e i propri interessi, e finiscono per avvicinarsi a uomini di classi sociali diverse, con i quali condividono un progetto importante.
Secondo me, è proprio perché per la Alcott è tanto importante lo sviluppo della personalità, il sapersi, nel caso, ribellare alle convenienze sociali e il saper vivere fuori dalla famiglia pur senza perdere i contatti con essa, che l'unica che finisce per soccombere, nella battaglia per l'autoaffermazione, è Beth, che - per quanto questo possa causarci tante lacrime - non può che morire.

Per quanto riguarda Piccoli uomini - che da bambina avevo amato moltissimo - e I ragazzi di Jo, sono rimasta parzialmente delusa.
Nel primo ritroviamo, sicuramente, una memoria di giochi infantili che si è persa per sempre, giochi che sarebbe meraviglioso poter recuperare, perché stimolavano la fantasia e l'autonomia, caratteristiche che ritroviamo difficilmente nei bambini di oggi. Manca però una trama, assente anche in I ragazzi di Jo: si susseguono tutta una serie di episodi, e il personaggio principale è sicuramente Dan che a differenza di Beth - che non si lascia andare all'azione - non riesce a trovare pace in nessuna attività, e finisce per trovarla anche lui, precocemente, nel sonno eterno.
Ma quello che manca, in questi ultimi romanzi, sono le tre sorelle che, da adulte, pur essendo rimaste straordinariamente "loro", non risvegliano lo stesso affetto incondizionato. 

In conclusione, voglio sottolineare come sia importante non solo far leggere, almeno i primi due romanzi, ma soprattutto spiegarli: insegnare alle bambine a non saltare i passaggi moraleggianti, e a spiegare come anche i continui riferimenti alla Provvidenza (tipici della cultura americana dell'epoca) siano riconducibili all'interno di un sistema di valori che non moriranno devono morire mai.


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