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sabato 16 febbraio 2013

Recensione: “Quel che ora sappiamo”–Catherine Dunne

TRAMA (da qlibri):
Daniel Grant è un adolescente appassionato e di talento: la musica, il disegno, la fotografia, le uscite in barca a vela. Ha un amico del cuore, che per lui è come un fratello, e una famiglia allargata calorosa e avvolgente nella sua complessità. Non manca niente, e il futuro si preannuncia altrettanto generoso. Fino a una domenica di settembre e a un evento tragico che precipita Ella e Patrick, i suoi genitori, in una voragine di dubbi e sensi di colpa. Perché è accaduto? E loro, sempre così dediti e attenti, dov’erano? Quali segnali non hanno saputo o voluto cogliere? Scoprire la verità, per quanto dolorosa, è l’unico modo per dare un senso e prospettive dignitose a una vita che sembra aver perso ogni sapore, ogni colore. Perché «non c’è nulla di più potente della conoscenza», anche quando rischia di annientarti. Comincia così una ricerca ostinata di tracce e responsabilità, fatta anche di brucianti attriti familiari, che illumina a poco a poco di una luce diversa volti, situazioni, dettagli appena intravisti e poi rimossi, ma restituisce al tempo stesso la certezza della gioia condivisa, dell’amore scambiato. E il finale, contrariamente a ogni aspettativa, è una festa, un commiato colmo di speranza da un gruppo di personaggi disegnati con una sapienza e una delicatezza sorprendenti, più veri del vero, eppure – anzi, forse proprio per questo – straordinari.
Il mio primo pensiero, leggendo le prime pagine è stato…”non devo farlo leggere a mia mamma”.  L’argomento è purtroppo di grande attualità, ma non per questo meno angosciante. Patrick e Ella si trovano a fare i conti col suicidio del figlio, in una girandola di responsabilità, di silenzi, di colpe, di non detti. Di “troppo tardi”, di rabbia, di paura.  Marito e moglie, genitori dello stesso figlio, innamorati ma molto distanti come età e come vissuto, essendo lui già padre di tre figlie, che a modo loro li aiutano nella lotta contro il male, li aiutano a risalire verso la quiete, dopo aver risolto le loro divergenze.
L’ho letto d’un fiato, per vedere come andava a finire, in poche ore. Ma non posso dire che mi sia piaciuto. Il racconto è spezzettato, non si capisce bene quando siano ambientati gli eventi narrati, qua e là c’è qualche imperfezione anacronistica (il Blackberry esisteva già nel 1999?), il racconto è affidato a troppe voci, che non riescono a scandagliarlo. I personaggi, Ella e Patrick, sono dei ritagli, piatte figure di carta. O meglio: dei mal riusciti collage di altri, e ben più grandi, personaggi della Dunne.

(Post pubblicato, in origine, qui)

2 commenti:

Blackswan ha detto...

non ha fatto impazzire nemmeno me anche se ho trovato l'argomento molto attuale...

Start from scratch ha detto...

Volevo leggerlo ma mi sembra di capire che non ne vale la pena...

Mary.