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domenica 27 gennaio 2013

Recensione: Istruzioni per l’odio, S. Montella

Da Il foglio letterario:
Raccontare i piccoli orrori della quotidianità, il loro rifiuto, la loro finale accettazione.
Un libro psico-politico in cui un ragazzo cerca di fare a se stesso quello che Berlusconi ha fatto al paese. Un libro di sinistra, ma così di sinistra che può piacere soprattutto a quelli di destra. Succede che Silvio lo perseguita, e un precario qualunque passa dalla laurea con lode alla disoccupazione.
Che fare?
Si tratta della domanda cui i poveracci di tutto il mondo cercano da secoli una risposta.
Quando Simone mi ha proposto di leggere e recensire il suo libro ho accettato volentieri, ma non del tutto serenamente: le righe che ho postato sopra, che fanno da presentazione al suo romanzo, mi avevano messo addosso un po’ di inquietudine, un po’ d’ansia. Temevo fosse qualcosa di troppo complicato, di troppo pesante, di troppo politico… Quindi, se c’è qualcosa che non mi piace del suo libro sono queste righe di presentazione, che non gli rendono giustizia.

L’ho letto due volte, la prima rotolandomi dal ridere in alcuni punti e con l’ansia di scoprire come andasse a finire, con la consapevolezza che non poteva finire come immaginavo io, perché già la prima pagina aveva soppresso questa possibilità. Finale inaspettato, nonostante non ce ne fosse un altro possibile, a pensarci bene. La seconda volta l’ho riletto con calma, per poterlo analizzare meglio, e mi sono attardata a evidenziare e commentare molti passaggi, col desiderio di riportarli e commentarli. Non lo farò, perché non voglio mettere troppa carne al fuoco: voglio che questo sia un invito alla lettura, più che una recensione.

Leggendo questo romanzo, mi sono sentita meno sola coi miei pensieri bizzarri, contorti, con le mie paure. Non è un libro politico, è un libro sociale. Non è un libro su Berlusconi ma sul berlusconismo, nell’accezione ampia del termine.  Fa ridere, tanto. Soprattutto perché ci si riconosce, e proprio per questo fa pensare, turba un po’. Ci si ritrova in quei ragionamenti stereotipati che il protagonista si accorge, con orrore, essere diventati suoi.

Questo romanzo ci mostra dall’interno, da dentro la testa del personaggio, come ci si trovi a vivere in una società dell’apparire (meraviglioso quando pensa alla donna da scegliersi.. “Identificare un target, il punto è trovare una via di mezzo, questo è un target”), del possesso, del bisogno indotto dal benessere.  Proprio per questo mostrare le cose “dall’interno”, la scelta della prima persona è pienamente giustificata, oltre che perfetta. Il protagonista parla di sé con l’io e con il tu – rivolgendosi a se stesso – a volte anche nello stesso periodo: una scelta stilistica che può non piacere, ma che io personalmente adoro. Uno stile convulso, claustrofobico, che ci porta dritti dentro i ragionamenti perversi e malati del protagonista, descritti in maniera dettagliata, precisa ma mai asettica. Ragionamenti che sono anche i nostri, quando siamo stanchi, affannati (quando cerca di piantare i gerani…), ubriachi. Descrizioni che sono esercizi di verità, e non di bello stile.

Di “bello stile” non ce n’è, nel senso estetico del termine, ecco. Qualche volta qualche congiuntivo (mancato) mi ha un po’ turbata, ma l’autore si fa perdonare subito con qualche frase, qualche sentenza che ti tocca dentro, ti colpisce per la sua ovvietà. Per la serie… so benissimo che è così, ma così non sono mai stata capace di dirlo….“odiare una persona nasce spesso da questo, nasce dai rapporti di forza che non si possono mai sovvertire nemmeno chiacchierando del più e del meno”.

Mi fermo qui perché non voglio dire troppo, voglio davvero invitarvi a leggere. Perché fa pensare, indipendentemente da quelle che sono le vostre convinzioni / posizioni politiche o scelte di vita. Fa venir voglia di conoscere la persona che sta dietro quella penna, e scusate se è poco.

(Post pubblicato, in origine, qui)

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