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L’autrice ha vent’anni, e l’ha scritto a diciassette. Tanto di cappello, assolutamente. Una storia controversa, provocante, destinata a far discutere. La storia di un incesto, raccontato senza volgarità, senza grottesco compiacimento.
I due personaggi principali, Selvaggia e Johnny, ci sono, eccome. Sono profondi, completi, ben descritti e soprattutto ben scritti. Quello che manca è lo sfondo. Mancano le città, Verona, Genova e Roma. Mancano soprattutto i loro genitori, che sono due figure di carta appena ritagliate, e assolutamente inverosimili. Peccato, davvero. L’autrice avrebbe potuto far di più, perché è in grado.
E’ un libro scritto bene, con uno stile molto personale, anche se a tratti un po’ ingenuo. La voce narrante è esterna, un narratore onnisciente senza volto che si rivolge a Johnny con il tuo e lo accompagna in questa storia di amore, dolore e perdizione. Una lingua che mescola stilemi alti, suoni arcaici a voci da fumetto, e a slang giovanili. Un mix che ho apprezzato, che non ho trovato né presuntuoso né lezioso, come invece ho letto altrove. Qua e là c’è qualche ingenuità, che credo nel prossimo romanzo della Coltorti non ci sarà più.
Però..c’è un però. Da metà in poi siamo stufi, la storia si trascina, non ci sono nuovi eventi, il supposto colpo di scena finale non è tale. La trama è piatta, incolore. Non si arricchisce, continua sempre uguale precipitando verso un finale scontato, che a quel punto i personaggi si meritano in pieno. Peccato, di nuovo, perché l’autrice ha tutte le carte per far di più, come ho già detto. Il vero mistero, a parer mio, è perché abbia scelto di raccontare una storia del genere. Non riesco a leggerci sotto nessun messaggio, niente di niente. Solo una provocazione che.. non provoca nessuna reazione. Nemmeno un sano disgusto.
Ok, questa recensione è negativa. Ma Le affinità alchemiche non è un brutto libro, e il linguaggio dell’autrice fa concorrenza a quello di scrittori più adulti e più affermati di lei.
(Post pubblicato, in origine, qui)