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domenica 20 luglio 2014

Recensione: La settimana bianca - Emmanuel Carrère

TRAMA (da Adelphi): «Ero solo, in una casetta in Bretagna, davanti al computer,» ha raccontato una volta Emmanuel Carrère «e a mano a mano che procedevo nella storia ero sempre più terrorizzato». All’inizio, infatti, il piccolo Nicolas ha tutta l’a­ria di un bambino normale. Anche se allo chalet in cui trascorrerà la settimana bianca ci arriva in macchina, portato dal padre, e non in pullman insieme ai compagni. E anche se, rispetto a loro, appare più chiuso, più fragile, più bisognoso di protezione. Ben presto, poi, scopriamo che le sue notti sono abitate da incubi, che di nascosto dai genitori legge un libro, dal quale è morbosamente attratto, intitolato Storie spaventose, e che, con una sorta di torbido compiacimento, insegue altre storie, partorite dalla sua fosca immaginazione: storie di assassini, di rapimenti, di orfanità. E sentiamo, con vaga ma crescente angoscia, che su di lui incombe un’oscura minaccia – quella che i suoi incubi possano, da un momento al­l’altro, assumere una forma reale, travolgendo ogni possibile difesa, condannandolo a vivere per sempre nell’in­ferno di quei mostri infantili.
Questo perturbante, stringatissimo noir è da molti considerato il romanzo più perfetto di Emmanuel Carrère – l’ultimo da lui scritto prima di scegliere una strada diversa dalla narrativa di invenzione.

La settimana bianca è il quarto romanzo di Carrère letto nel 2014: avevo acquistato il cartaceo in occasione del Salone del libro, ma prima di me l'aveva letto (e recensito) Stefano.
La storia è semplice, lineare. Protagonista è Nicolas, un bambino fragile, "strano", che ha molta paura del confronto con gli altri, arrivando a temere una settimana in vacanza. Si ammala quasi subito, e vorrebbe che questa sua malattia durasse all'infinito, fino al ritorno a casa, per non dover vivere appieno la settimana bianca. Più che vivere, infatti, Nicolas preferisce sognare, immaginare, meglio se storie spaventose, orribili.
Ed è proprio per questo che verso la fine del romanzo arriva a inventare un qualcosa di mostruoso, per non uscire da questo suo mondo immaginato, per trovare un modo per sentirsi importante. E purtroppo, ciò che Nicolas inventa altro non si discosta di molto dalla verità, molto più orribile. Verità che noi abbiamo già intuito da qualche pagina. Il ritmo, infatti, è abbastanza angosciante, elemento caratteristico della scrittura di Carrère. 
Nicolas potrebbe sembrare un bambino disturbato, oppresso da un ambiente familiare anormale, che nasconde qualcosa. Eppure... sicuramente vi è qualcosa di strano in lui, ma è impossibile non capirlo, non sentirci lui, riconoscere noi, bambini spaventati, in quella figura solitaria. Almeno, per me è così.

Ho apprezzato molto la lettura de La settimana bianca, ma non l'ho vissuto come un libro di Carrère nel senso pieno del termine. Preferisco i romanzi in cui l'autore si discosta dalla narrativa di invenzione e si mette in gioco, prende posizione, si interroga, ci spinge a farci domande.

Consigliato, ad ogni modo... come sempre!

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