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venerdì 30 novembre 2012

Il tempo tagliato–Silvia Longo


_il-tempo-tagliato-1348533623Trama: Nella luce di un giugno radioso e sfacciato, Viola sente crescere il vuoto delle sue giornate. Ha quarantatré anni, e per metà della vita è stata moglie devota di un acclamato direttore d’orchestra e madre di una figlia avuta da giovanissima. Nient’altro, nessuna concessione a se stessa, nessun inciampo, nemmeno ora che, con la morte improvvisa del marito e una figlia ormai adulta, le sue giornate sono scandite dalla solitudine. Il pomeriggio del solstizio d’estate, durante un concerto in memoria del marito, Viola conosce un uomo e qualcosa accade dentro di lei: una breccia nel muro, un’infiltrazione d’acqua nelle crepe, un punto di sutura che si dissolve. Mentre nel chiostro assolato risuonano le note di Bach, un’impacciata Viola in abito da cocktail, il filo di perle al collo e i capelli raccolti, lascia il concerto e fugge in macchina con lui. La tentazione è quella di abbandonarsi, di lasciarsi portare dalla corrente, ma l’autocontrollo è la disciplina in cui Viola eccelle e quello che sta succedendo non è solo sconveniente: è assurdo. Eppure è tardi per tornare indietro, perché il viaggio è iniziato, e con quell’uomo lei sta andando esattamente dove desiderava da tempo: lontano. Lontano da tutto per avvicinarsi alla sua verità, semplice e scandalosa.

Ho letto questo libro due volte, nel giro di una settimana, dopo averne letto la presentazione sul blog di HP. Due volte perché… è un libro da leggere, da assaporare lentamente. La storia raccontata è semplice: non scontata e non banale, ma semplice. Il punto di forza di questo libro è un altro: è il modo in cui è scritto, la purezza della sua prosa, la forza evocativa di certe immagini.  Non credo che riuscirò a costruire una recensione obiettiva di questo romanzo: mi ha rapita troppo, è a tutti gli effetti il più bello letto nel 2012.
“Mi sono sempre adeguata”
Questo è il punto di partenza della storia di Viola, la frase che ieri sera ho evidenziato sul Kindle aggiungendo una nota.. “parti da qui”. Eh sì, l’ho riletto sottolineando, annotando. Potrei scrivere pagine e pagine, mi trattengo, faccio la brava.                                                                                                                  
Viola si è sempre adeguata, è sempre rimasta un passo dietro al marito ricco e famoso. Una forma di amore, la sua: fare in modo che nessuno, né lui, né la figlia, soffrano: solo lei può soffrire, soffocata nella morsa di un’esistenza lussuosa, troppo lussuosa.
… “Quante frasi garbate da costruire, quante arterie flessuose fanno di noi persone rispettabili? E come splendere quando tutto intorno è opaco?”
Ecco, questo è la storia di Viola. Stare al passo, occuparsi di tutto e di tutti, soffocare il suo dolore, il suo sentirsi incompresa. Le sue opinioni, i suoi gusti musicali. Era sempre il marito – direttore d’orchestra – a scegliere la musica: era lui l’esperto, perché contraddirlo? Mi sono identificata facilmente, in Viola. Quel senso del dovere schiacciante, quel senso onnipresente di inadeguatezza, di insufficienza. Sentirsi in colpa per tutto, anche per non essere riuscita ad amare fino in fondo il marito, e una gioia segreta per essere riuscita a fingere per anni.  Lei si sente in colpa “per tutto. Se si rompe un bicchiere, se dormo troppo (…) Se il treno che aspettiamo è in ritardo (…) Se la lavastoviglie lascia i bicchieri opachi, se in quella chiesa non c’è una buona acustica. Se il parrucchiere mi sbaglia la piega, se mi ammalo, se invecchio.” In colpa per non essere stata accanto al marito quell’ultima sera, in colpa per aver desiderato una vita senza di lui.
Ti identifichi anche con la figlia di Viola, Vicky. Senti il suo dolore sotto la pelle. Senti davvero quello che ha provato a preparare le valigie, prendere quel treno per correre a casa, dopo che le era stato detto che il suo papà non c’era più. Me la immagino mentre guarda correre i binari dal finestrino, mentre sa che indietro non si può tornare più, che non può cambiare niente…Anche se c’è il suo ragazzo accanto a lei, sperimenta per la prima volta la solitudine, il bozzolo di silenzio in cui ti chiude quel dolore sordo, ché neanche piangere ti salva.
E Mauro, l’uomo che “salva” Viola? Cresciuto con una madre bipolare, una famiglia che ha scelto di abbandonare… dolce e premuroso, riesce a far tirar fuori a Viola una confessione che le spalanca le porte di un’altra vita. E personalmente sono grata all’autrice per quel bacio evitato, per lasciarci scegliere da soli come continua questa storia, per aver scritto che “Ciò che mi appartiene si trova qui, e succede ora”.

é un libro da leggere davvero non per la storia che racconta ma per COME la racconta. Quest’autrice è davvero una rivelazione, e questo libro è perfetto. Perfetto nel descrivere, nel farci percepire. La crisi isterica di Viola sotto la pioggia davanti all’autogrill: da donna, la senti nel cuore e nei nervi. Il dolore di lei nel trovarsi nella casa vuota. “La morte è viva: la mia mente si ostina su questo ossimoro. Leggo la morte in un volto pallido, la sorprendo nel vuoto di un paio di pantaloni troppo larghi sul dietro, la ascolto nel canto di certi uccelli che non passeranno l’inverno”
Il mio passaggio preferito… Viola e Mauro all’autogrill, col temporale fuori e le previsioni meteo alla televisione. E intanto Viola immagina…
“La gente si chiude in casa a doppia mandata, infila i vestiti bagnati nella lavatrice, si asciuga i capelli e indossa il cardigan preferito, quello morbido con le maniche sformate che arrivano a coprire le dita”.

(post pubblicato, in origine, qui)

domenica 25 novembre 2012

La custode di mia sorella - Jodi Picoult

TRAMA:
libroAnna non è malata ma è come se lo fosse. A tredici anni è già stata sottoposta a numerosi interventi chirurgici, trasfusioni e iniezioni in modo che la sorella maggiore Kate possa combattere la leucemia che l’ha colpita in tenera età. Anna è stata concepita con le caratteristiche genetiche che la rendono idonea a essere donatore di midollo per la sorella, ruolo che non ha mai messo discussione ma che ora le diventa, di colpo, insostenibile. Perché nessuno le chiede mai il suo parere? Perché si dà per scontato che lei sia disponibile? Anna prende una decisione per molti impensabile e che sconvolgerà la vita di tutti i suoi cari: fa causa alla sua famiglia.

Un tema forte, quello trattato da Jodi Picoult in questo romanzo. Una storia sconvolgente, in cui pagina dopo pagina ci chiediamo che parte prendere, cosa pensare, cosa dovremmo pensare e non troviamo mai una risposta. Una storia in cui tutti personaggi sono delineati in maniera perfetta, minuziosa. Li conosciamo tutti, li capiamo tutti. Siamo più d’accordo con qualcuno e meno con qualcun altro, ma siamo empatici con tutti, interamente.
Anna, Kate, i suoi genitori, l’avvocato a cui Anna si rivolge, il tutore che si occupa di lei, perfino il giudice li sentiamo vicini in questa storia in cui si cerca disperatamente il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra l’etica e l’amore, tra la legge e la giustizia. Confine che non si trova. Risposte che mancano e continuano a mancare; un problema a cui non c’è soluzione, non c’è rimedio. Più leggi, meno riesci a immaginare il finale.  E l’autrice ci sconvolge, con un finale a sorpresa, assolutamente inaspettato. Perché non c’era altro modo di uscire dall’impasse. E lo chiudi con un groppo in gola.
Una storia coinvolgente, personaggi costruiti bene… ma questo libro ha, a mio avviso, un grosso limite: è scritto male. La narrazione è affidata, capitolo per capitolo, a ciascun personaggio in prima persona: si crea una confusione pazzesca, basta distrarsi un attimo e non si capisce chi stia parlando, anche perché la Picoult non adatta la sua prosa alla voce narrante.
Peccato…Non leggetelo se siete già tristi o troppo sensibili. 

Da questo libro è stato tratto un film omonimo, con Cameron Diaz e Alec Baldwin.

(Post pubblicato, in origine, qui)

venerdì 23 novembre 2012

Il corpo umano - Paolo Giordano.



La solitudine dei numeri primi l'ho letto due volte, pensando che fosse un libro "strano", e che non sapevo se mi era piaciuto. L'unica idea che mi si era formata nella testa era che... Paolo Giordano sapeva scrivere.


Adesso, arrivata all'ultima pagina de Il corpo umano aggiungo che Paolo Giordano è BRAVO, che il suo libro mi è piaciuto TANTO, che è strano come e più del primo, ma ha una stranezza più costruttiva.
Il corpo umano non racconta una vera e propria storia, nel senso.. non c'è una trama ordinata che inizia a pagina uno e finisce a pagina trecentotrentadue. é il risultato del reportage di Giordano in Afghanistan, nel 2010.
Tutti i soldati, tutti gli esseri umani - non dico uomini volutamente - sono inquadrati, radiografati in maniera perfetta e trasferiti sulle pagine. é bravo, a scavare nei personaggi.
Non si ferma, intimidito, davanti agli aspetti più squallidi e torbidi della realtà. Non ha paura a dirti che quando sei con un amico di cui hai un po' di soggezione e ti si rompe una bustina di maionese in mano, ti pulisci sull'orlo della sedia pur di non chiedergli un fazzoletto. Eppure, non ti annoia con descrizioni dettagliate e introspettive della psiche del personaggio, no. La illumina attraverso le sue sensazioni, i suoi gesti. La tua comprensione del personaggio va di pari passo col suo processo di maturazione: arrivate insieme, a capire perché si comporta così.
Ti va fa vedere impietoso il marcio nella società e nelle famiglie, senza giudicare. Perchè in fondo, è umano. 

Non ho letto grandi recensioni positive. Certo è un libro difficile, nel senso che...si fa fatica a seguire, fatica a andare avanti in questo viaggio nella coscienza che passa attraverso gli organi interni. Ma ne vale la pena, secondo me.

(post pubblicato, in origine, qui)

domenica 11 novembre 2012

Storia catastrofica di te e di me / e finalmente ti dirò addio

In settimana mi sono presa una pausa dalla lettura de L'idiota e mi sono dedicata a Storia catastrofica di te e di me di Jess Rothenberg, arrivato in Italia nel 2012. Dopo, è stato impossibile non leggere il (a mio avviso giustamente) più famoso E finalmente ti dirò addio di Lauren Olivier, edito nel 2010.
Ho scelto di parlare insieme di questi due libri perché sono molto simili: si tratta della storia, narrata in prima persona, di due adolescenti ormai morte: la Brie di Storia catastrofica  di infarto, dopo che il suo fidanzato l'ha lasciata, mentre Samantha di E finalmente ti dirò addio muore in un incidente d'auto.
Avevo letto prima quello della Rothenberg e l'avevo trovato gradevole, semplice e leggero ma gradevole. Una prosa scorrevole, qua e là ti scappa una lacrima, anche se non ho apprezzato fino in fondo la scelta della prima persona. Il personaggio di Brie si evolve dopo la morte, scoprendo che tante cose in vita le erano sfuggite, ma resta sostanzialmente una figura positiva, buona. L'ho trovato un libro un po' anni '90, forse troppo: Brie cita chewingum, giochi e film, come Harry ti presento Sally e Ragione e sentimento che... se davvero fosse morta a sedici anni nel 2010 non conoscerebbe!
Sul finale le cose si complicano un po' troppo per i miei gusti, e il libro vira verso un paranormal un po' troppo spinto. Ma rimane una buona lettura da spiaggia o da treno. Anzi, lo sarebbe rimasto, se dopo non avessi letto E finalmente ti dirò addio. Perchè i due libri sono decisamente TROPPO SIMILI, mi dispiace! troppi elementi che ritornano, anche dettagli, oltre a un certo modo di trattare il tema, certi stilemi... va bene ispirarsi, ma a mio avviso così è eccessivo.
Samantha non va nell'aldilà, come Brie; o meglio, il suo aldilà consiste nel rivivere sette volte il giorno della propria morte, cercando prima di salvare se stessa, poi capendo che ciò che deve fare davvero è salvare un'altra coetanea dal suicidio. La prosa diventa così più complessa, angosciante, a tratti claustrofobica... stimolante!
Ma il bello di questo libro, è che... Samantha è odiosa. Una ragazzina antipatica, viziata. Fa parte di un gruppo di bulle, che torturano una compagna per un motivo che si scopre davvero ingiusto, falso, squallido, che Sam nemmeno conosce. Ho sentito un fortissimo eco dello splendido Carrie di Stephen King, e scusate se è poco. E allora sì che Samantha, anche dopo morta, si evolve. Che capisce che non è tutto oro ciò che luccica, che le persone di cui si circonda non sono così limpide come credeva, che lei stessa sta inseguendo qualcosa che non desidera veramente, per un motivo troppo futile. Che capisce che non è vero che nella vita c'è chi ride e chi viene deriso, e l'importante è essere dalla parte di chi ride. E finalmente ti dirò addio è un libro più complesso, che ci porta dritti in un mondo che purtroppo esiste. é un libro che racconta la storia di chi ride, facendoci vedere come in realtà si stia autoingannando, senza scendere in falsi buonismi. Un difetto di questo libro è forse la... mancanza di angoscia di Sam: sentiamo poco della sua ansia, del suo dolore per essere morta, che invece in Brie sono fortissimi.

Consigliati... quello della Olivier sì. L'altro un po' meno, ma solo dopo aver letto E finalmente ti dirò addio. Preso da solo, è una buona lettura.

(Post pubblicato, in origine, qui)